Domeniche del Tempo Ordinario
Anno Liturgico C

Indice:

I Domenica
II Domenica
III Domenica
IV Domenica
V Domenica
VI Domenica
VII Domenica
SS. Trinità
XII Domenica
XIII Domenica
XIV Domenica
XV Domenica
XVI Domenica
XVII Domenica
XVIII Domenica
XIX Domenica

XX Domenica
XXI Domenica
XXII Domenica
XXIII Domenica
XXIV Domenica
XXV Domenica
XXVI Domenica
XXVII Domenica
XXVIII Domenica
XXIX Domenica
XXX Domenica
XXXI Domenica
XXXII Domenica
XXXIII Domenica
Cristo Re dell'Universo


I domenica del Tempo Ordinario

Lc 3,15-16.21-22

Battesimo di Gesù

"Io vi battezzo con acqua;
ma viene uno che è più forte di me...
...costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco"

Cristo entrando nelle acque del Giordano per battezzarsi insieme con i peccatori realmente era un peccatore. La Sua peccaminosità però, non risultava dalla colpa personale, ma nel momento in cui è entrato nel Giordano ha preso su di sé le colpe di tutti. Questo fu un peso enorme, che Cristo porterà per tre anni della Sua attività sulla terra. Alla fine lo porterà sul Calvario. Nella Sua persona tutti i nostri peccati sono stati immersi nelle acque del Giordano. Ciò significa, che ogni nostra colpa è stata compresa nel primo atto di penitenza di Cristo.

Che cosa significano le acque purificatorie del Giordano? Esse simboleggiano molte nostre purificazioni. Il primo è stato effettuato nel momento del nostro battesimo. Ma come sappiamo, l’uomo è una creatura peccatrice e non sempre mantiene la fedeltà a Dio. Per questo erano necessarie altre purificazioni. Dalla volontà di Cristo, che ha detto: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi…" - si compiono nel sacramento della penitenza.

> Ma questo non è tutto. Accanto a queste due fonti c’è una terza – il Corpo e Sangue del Signore. Senza fine sono proclamate le parole: "Questo è il Calice del mio Sangue…" In queste misteriose parole pronunciate dall’uomo scorrono le calme acque del Giordano aspettando la nostra fede e apertura del nostro cuore.

Cristo immerso nelle acque del Giordano, Lui che per causa dei nostri peccati è stato considerato peccatore ha mantenuto però, la Sua intoccabile santità. Per questo subito dopo il battesimo alcuni hanno udito la voce del Padre Celeste: "Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto". In queste parole è compresa la piena approvazione di questo, che Gesù, dall’amore per l’uomo, ha preso su di sé tutte le sue debolezze. Di questo ci parla la festa d’oggi: Il Battesimo del Signore.

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II domenica del Tempo Ordinario

Gv 2,1-12

"Non hanno più vino"
"Fate quello che vi dirà"

La presenza di Cristo alle nozze di Cana di Galilea ha un molteplice significato. Gesù con la Sua presenza ha sottolineato il valore dell’amore umano e del matrimonio, e anche delle nozze che sono con questo legate. Ma questo è poco: quando è mancato il vino, ha usato la Sua straordinaria potenza, perché questa mancanza non diminuisse la gioia delle nozze.

Cambiando l’acqua nel vino su preghiera della Madre, ci ha indicato, che possiamo pregarLo per diverse cose, anche molto terrene, come il vino per le nozze. Ci ha insegnato che possiamo farlo anche per l’intercessione di Sua Madre.

Sto evidenziando queste cose perché in esse si rivela tutta l’umanità di Gesù e la Sua benevolenza alla quotidianità umana.

Naturalmente c’è anche un'altra dimensione della presenza di Cristo alle nozze e del miracolo della trasformazione dell’acqua in vino. Gesù comincia la Sua attività apostolica da quello che è l’inizio di ogni uomo. Dal matrimonio, dalla maternità e paternità. Come se volesse dire, che l’obbligo degli sposi non è solo dare la vita ma anche l’innestare la fede in Lui.

In più, operando il primo miracolo tra tanta gente ha indicato l’altra dimensione della Sua presenza nel mondo, e anche quello che la nostra presenza similmente alla Sua dovrebbe far nascere le buone opere.

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III domenica del Tempo Ordinario

Lc 1,1-4; 4,14-21

"Oggi si è compiuta questa Scrittura
che voi avete udito con i vostri orecchi"

Ci sono le verità facili e le verità difficili. Davanti alla verità difficile si è trovato Gesù quando è venuto alla sinagoga di Nazaret e doveva dire di Se stesso, dopo aver letto il testo di Isaia: "Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunciare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista". Se dovesse proclamare la verità di Se stesso in un’altra città – la cosa sarebbe facile. Ma qui, a Nazaret, dove tutti Lo conoscono dalla fanciullezza, parlare di Se stesso, che su di Lui si sono compiute le profezie – questo era un suicidio evangelico. Per questo dirà dopo le parole amare: "Nessun profeta è bene accetto in patria"

Perché allora ha cominciato questo tema scomodo tra i suoi? Loro Lo conoscevano e non erano preparati a questa interpretazione delle parole di Isaia. Umanamente parlando, Cristo ha fatto una cosa peggiore. Ha detto ciò che nessuno dei presenti voleva sentire. Perché ha fatto così? È difficile dirlo. Possiamo però, supporre, che l’ha fatto, perché questa è la verità. E non importava, se qualcuno voleva sentirla o no. Cristo è la Verità e non poteva permettersi una mossa tattica.

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IV domenica del Tempo Ordinario

Lc 4,21-30

Tutto... erano meravigliati delle parole di grazia
che uscivano dalla Sua bocca...
Si levarono, lo cacciarono fuori della città
e lo condussero... per gettarlo giù dal precipizio

Il Vangelo di oggi è il seguito del brano della domenica scorsa. Cristo sta parlando ai propri compaesani a Nazaret. Parla semplicemente e cordialmente. Questa predicazione è piaciuta tanto agli ascoltatori. Dopo un po’ di tempo hanno cominciato a domandarsi: Da dove gli viene questa sapienza? Benché lui fosse il figlio di Giuseppe. Cristo vedendo sulle loro facce tanti dubbi, subito ha reagito. Voi aspettate da me tutto quello che ho compiuto a Cafarnao? Purtroppo, non lo posso fare da voi. Per fare questo è necessaria la fede in me, e voi non l’ha avete. In me vedete solamente uno, che è cresciuto tra voi. Questo non basta per compiere grandi cose di Dio. In più, Dio viene quando vuole e come vuole, e a chi vuole. Ricordate cosa è successo durante la carestia nel tempo di profeta Elia. C'erano tante vedove in Israele, ma solo a una, in Sarepta di Sidone, è stato mandato il profeta.

Questo era troppo per i concittadini di Gesù. Lo hanno buttato fuori della città e volevano uccideLo.

Ma quale insegnamento apprendiamo dal Vangelo di oggi?

La prima cosa: perché Cristo potesse fare qualcosa per noi e dentro di noi è necessaria la fede. Gesù sempre domandava la fede a quelli che lo pregavano per qualsiasi cosa. Tu credi che io lo possa fare?

La seconda cosa: non bisogna indicare a Dio né tempo, né modo di fare. Non possiamo arrabbiarci e rimproverare Dio che non ha esaudito la nostra preghiera (che spesso è la richiesta). Noi dobbiamo solo pregare e aspettare.

E la cosa ultima: bisogna guardare dentro di noi e scoprire se il nostro cuore è pronto ad accogliere il dono di Dio. È sufficientemente puro? Le nostre intenzioni sono buone? Non portiamo l’odio? Cerchiamo l’amore vero il quale c’insegna san Paolo?

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V domenica del Tempo Ordinario

Lc 5, 1-11

"Non temere, d'ora in poi sarai pescatore di uomini"

L’episodio descritto oggi dal Vangelo fa nascere una serie di domande. La prima riguarda gli uomini che Gesù sceglie per farli apostoli.

È una cosa caratteristica, che non abbia cercato uomini dotti, affascinati dalla sapienza degli eremiti che fuggivano dal mondo, e neanche i sognatori che facevano  piani per aggiustare il mondo, ma gli uomini semplici – pescatori, abituati ad un lavoro duro per combattere con le difficoltà della vita e molto radicati nel posto dove erano nati. Perché proprio loro?

Chissà? Forse perché questa gente aveva un profondo sentimento della realtà e capacità di combattere i contrasti della vita. Forse in loro ha scoperto la possibilità interiore ad accettare il Suo insegnamento e la prontezza di seguirLo. È difficile dirlo. Rimane solo il fatto, che Cristo ha puntato sugli uomini semplici, sugli uomini del lavoro duro.

Dall’altra parte, però, era una straordinaria forza nella chiamata di Cristo, se i pescatori, così profondamente legati al loro lavoro, hanno abbandonato tutto e Lo hanno seguito.

Non sappiamo e probabilmente non lo sapremo mai, che cosa hanno notato Simone, Giacomo e Giovanni nello sguardo di Gesù, quando L’hanno incontrato per la prima volta. Non sapremo mai, che cosa hanno sentito nella Sua chiamata. Forse hanno avuto un’illuminazione interiore e la sicurezza che bisognava seguirLo. In questo doveva essere qualche misteriosa forza che respingeva ogni "ma".

Non sapevano Chi era Gesù. Non sapevano dove voleva portarli. Li ha solo assicurati che sarebbero diventati pescatori degli uomini.

Che cosa viene a noi dal Vangelo, dalla riflessione d’oggi?

La prima cosa, che ognuno di noi ha il proprio tempo della chiamata.

La seconda: quando chiama Dio, bisogna andare nella direzione che Lui c’indica. Questo può essere la vocazione particolare, richiamo alla conversione o chiamata per svolgere qualche compito particolare.

Gesù non elesse per l'apostolato persone sapienti, non persone facoltose, non persone nobili, ma pescatori e pubblicani, perchè non doveva sembrare che riuscissero a trascinare con la sapienza, a comprare con le ricchezze, ad attrarre gli altri verso la sua grazia con il prestigio della dignità e della nobiltà. Doveva prevalere l'argomento della verità, non l'attrattiva della forma. (Sant'Ambrogio)

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VI domenica del Tempo Ordinario

Lc 6, 17. 20-26

"Beati voi poveri...
voi che ora avete fame...
che ora piangete..."
"Guai a voi, ricchi..."

Nel Vangelo di oggi Cristo con  parole molto pungenti si rivolge alle persone sazie, allegre, ricche; a tutti quelli che stanno bene.

Ma anche tutti noi sogniamo la vita bella e facile. Allora ci domandiamo: perché dobbiamo guardare male a quelli che sono riusciti nella vita? Perché non dobbiamo rallegrarci di questo?

Cristo, però, lancia queste pesanti parole : “Guai a voi…” Perché? È contrario alla felicità, all’abbondanza nella vita? No! Non è così! Cristo vuole solo che osserviamo delle proporzioni e guardiamo la fine della nostra vita.

Non si può solo accumulare ma anche bisogna saper dividere i beni con quelli che sono nel bisogno. L’uomo non può vivere come un topo, che solo accumula e mangia, perché così si può perdere la prospettiva della vita, che deve andare lontano dalla terra. L’uomo non può – come dice il profeta Isaia – solo nel corpo vedere la propria forza. L’uomo non è il principio e la fine di tutto e neanche di se stesso. È obbligato avere un riguardo a Dio. Non può dimenticare questo. E quando lo dimentica, allora lo minaccia questo terribile “guai” di Gesù.

Ai piangenti, agli affamati, ai poveri Cristo rivolge le parole di consolazione. Non, perché Gli piace la miseria, ma perché loro hanno puntato sui valori che non periranno mai. Si sono affidati a un'altra logica e un'altra sicurezza. Si sono affidati al Signore e non ai beni materiali.

In questa maniera Gesù ci propone un certo cambiamento delle cose, senza negare il valore dei beni materiali. Non possiamo fidarci solo di noi stessi, degli altri uomini, ma soprattutto aver fiducia in Lui, che è il Signore di tutto.

Questo non è facile ma necessario per l’uomo. Penso che tutti dobbiamo riflettere su questo.

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VII domenica del Tempo Ordinario

Lc 6, 27-38p

"...Amate i vostri nemici,
fate bene a coloro che vi odiano,
benedite coloro che vi maledicono,
pregate per quelli che vi maltrattano..."

Oggi Cristo ci ordina di amare i nemici. Ma di che cosa si tratta in questo comandamento? Si tratta di cose molto importanti. Però, queste, si riveleranno solamente, quando ci renderemo conto, che il nostro Padre Celeste è buono con tutti: con i buoni e con i cattivi, che la pioggia cade sui campi degli uni e degli altri, e che il sole brilla per tutti.

Il buonsenso ci dice che bisogna portare la luce là dov’è il buio, di accendere il fuoco dove fa freddo e di dare da mangiare a quelli che hanno fame. Purtroppo, sul piano spirituale ci comportiamo proprio al contrario.

Spesso crediamo che il male bisogna sconfiggerlo con il male e là dove sono le tenebre portiamo altro buio. Là dov’è mancato l’amore aggiungiamo il freddo della nostra avversione e discordia e facciamo tutta la situazione ancora più disperata.

Invece tutto dovrebbe essere diverso. Là dove ci sono le tenebre bisogna accendere la luce, dov’è ingiustizia bisogna portare la rettitudine e onestà, là dove l’uomo è oppresso dall’odio bisogna portare l’amore. Questa è la fondamentale legge da applicare nel campo spirituale. Comportandoci diversamente aumenteremo solo il male.

Ancora c’è un altro lato di questo comandamento. L’amore dei nemici consiste nel togliere le cause del male e dell’inimicizia. Bisogna aiutare i cattivi, perché smettano  di essere quelli che sono.

Bisogna prendere in considerazione anche questo, che litigare, disputare con lo spirito dell’odio, sulle cose piccole, significa distruggere quelle grandi; combattere per le cose materiali significa annientare quelle spirituali. Il comandamento di Gesù di porgere un’altra guancia e dare anche il mantello, illustra questa verità, che nei litigi si può perdere quello che è più importante.

Il comandamento d’amore dei nemici, anche se sembra irreale e assurdo, contiene in sé la filosofia sana e la conoscenza della vita.

Ci ricorda anche, che davanti alla soglia dell’eternità bisognerà lasciare tutte le tracce, tutti i segni dell’inimicizia, dell’odio e delle tenebre. Questa soglia la  può varcare solamente la luce.

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Domenica della Santissima Trinità

Gv 16, 12-15

"Molte cose ho ancora da dirvi..."

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Quando tentiamo di parlare della Santissima Trinità, sempre dobbiamo aver coscienza che ci mettiamo davanti al mistero, che non siamo in grado di superare. Da una parte è Dio, lo Spirito invisibile, immerso nell’infinito del mondo, inafferrabile, che oltrepassa la frontiera d’ogni conoscenza. Dall’altra parte Cristo, Dio, debole e dipendente dagli uomini, quello che chiede un pezzo di pane e un bicchiere d’acqua, moribondo nella sua umanità, che sveglia la speranza con la Sua risurrezione. Le due visioni così distanti, e ancora di più, questo pezzettino di pane, sotto il quale si è nascosto Dio-Uomo. E sempre è lo stesso Dio – uno, unico, incomprensibile e innominato, tre volte Santo. Il legame che unisce queste due visioni è la terza persona di Dio – lo Spirito Santo, e quello che unisce tutte e tre è l’Amore che esprime la sostanza di Dio.

Parlando, però, sulle Tre Persone di Dio, bisogna ad ogni costo evitare di associare l’idea con le tre persone che abbiamo davanti ai nostri occhi. Tre uomini non hanno niente di simile con la Trinità di Dio. Dio parlando di se stesso mai ha usato la parola "Tre", ma sempre "Uno". E una cosa indiscutibile è che Gesù Dio, parlando nel Vangelo usa tre nomi: Padre, Figlio e Spirito Santo.

Dio ha diritto di essere diverso ed esistere diversamente dall’uomo, può anche avere i propri misteri. Bisogna accettarli e accoglierli, aggiustando ad esse il proprio pensiero religioso.

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XII Domenica ordinaria

Lc 9, 18-24

"Chi sono io secondo la gente.
Ma voi chi dite che io sia?"
"Il Cristo di Dio"

"Chi sono io secondo la gente?"

Questa domanda, come nessun’altra suona nell’aria, benché Cristo per la prima volta l’ha fatta due mila anni fa. Perché? Perché essere cristiano significa credere in Cristo – Dio-Uomo. E questo non è facile anche per noi, educati nella cultura cristiana, senza dire di quelli che non avevano mai contatto con il cristianesimo. Qui non si può inventare niente, niente si può motivare con la scienza. Qui semplicemente bisogna credere a Cristo, approfondire tutto ciò hanno lasciato gli Apostoli, seguire la vita loro e di tutti quelli che hanno creduto in Lui. Soprattutto, però, bisogna credere alla Sua Parola.

Gli Apostoli, nei quali nome Pietro ha affermato che Lo considerano "Messia di Dio" erano nella situazione migliore? E sì e no! Sì, perché erano testimoni delle Sue straordinarie opere. No, perché la loro fede era basata solo sull’esperienza umana ed era così debole, che nel momento della crisi – la morte di Gesù – si è frantumata, benché Lui li preparava per questo.

Ma a questa domanda ognuno di noi deve sempre, continuamente rispondere a se stesso. Come Lo considero? Chi è Lui per me? E non si tratta solo della dichiarazione teorica, ma la mia relazione personale. Chi sei per me Signore? Il senso e la gioia della mia vita? O forse la sconfitta, perché la mia vita è la negazione del Tuo insegnamento?

Questo è il problema che mette davanti a me il Vangelo d’oggi.

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XIII Domenica ordinaria

Lc 9, 51-62

"Seguimi..."

Il Vangelo d’oggi parla delle condizioni, che devono adempire le persone che vogliono in modo particolare servire Gesù. Quali sono queste condizioni?

Ce ne sono diverse. Ogni uomo che ha deciso d’andare con la strada di Cristo deve rinunciare alla vendetta. Giacomo e Giovanni volevano punire la città con il fuoco, perché non li ha accolti. Cristo li ha fermati. Quando gli altri pensavano in questa maniera, Gesù ha detto loro: Non sapete di che spirito siete? Non vi ho insegnato la vendetta ma la misericordia.

Chi vuole seguire Gesù deve essere libero. Libero da che cosa? Da tutto. Dal passato: "Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio". L’uomo deve essere libero dal presente e dai legami famigliari: "Seguimi" ha detto Gesù. Quello ha risposto: "Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che io mi congedi da quelli di casa". Cristo non l’acconsentito. Ha vietato pure di dare l’ultimo servizio: "Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va’ e annunzia il regno di Dio".

Quello che vuole seguire Gesù deve essere più libero delle volpi e degli uccelli, che hanno le loro tane e i loro nidi. "Il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo". L’uomo chiamato al particolare servizio di Cristo Gesù deve diventare più libero di tutte le creature di Dio, perché ognuna di loro possiede qualche nido. Lui deve essere sempre disponibile, sempre pronto per andare.

Ci sono uomini così? – domandiamo. Sì, ci sono! Per dire la verità sono pochi, ma ci sono, sia tra i consacrati che tra i laici. Preghiamo, perché diventeranno sempre di più, gli uomini disponibili al servizio di Dio.

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XIV Domenica ordinaria

Lc 10, 1-12.17-20

"La messe è molta, ma gli operai sono pochi"

Cristo mandando i discepoli alle città e ai paesetti con la missione di proclamare che si è avvicinato il Regno di Dio ha detto: "La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe".

Quest’osservazione di Gesù sulla necessità della più gran quantità degli annunciatori del Vangelo è sempre attuale. Anche noi, nella chiesa italiana sentiamo questa mancanza, senza parlare dei paesi dell’Africa o dell’Asia.

Quale sono le cause della mancanza delle vocazioni sacerdotali? Sono diverse. Ma la più grande è la debolezza della nostra fede ed influenza della civilizzazione odierna.

Allora quali compiti si mettono davanti ai cristiani quando si tratta delle vocazioni particolari per la vita consacrata? Prima di tutto bisogna approfondire la vita religiosa nelle famiglie dove le vocazioni nascono e maturano. Poi, bisogna curare i segni della vocazione che riusciamo a vedere nella vita dei giovani. Ed infine, compiendo il comandamento di Gesù, bisogna pregare per le vocazioni. La vocazione è una grazia che viene da Dio. Non si può diventare sacerdote per capriccio. Dio dà la vocazione a chi che vuole. Ma questo non significa che l’uomo non ha niente da fare. Ce l’ha e tanto. All’uomo appartiene la preparazione della base, sia naturale sia religiosa, e appoggiare colui che si è avviato sulla strada verso sacerdozio.

"Essere sacerdote" è difficile? No! Con la condizione che nella sua vita Dio sarà sempre al primo posto, il più importante ed indispensabile. Altrimenti la sua vita può diventare tanto difficile e insopportabile. È facile cedere alle diverse debolezze, come la voglia di diventare ricco, famoso, potente ecc.

Che cosa è più difficile nella vita di un sacerdote? Gli altri pensano che la mancanza della propria famiglia e l’obbligo del celibato. Ma non è così. Il celibato non sarà mai il problema quando nella vita di un sacerdote il primo posto prende il Signore e la gente che deve servire. La cosa più difficile è il sentirsi inutile, superfluo nella comunità, nella società. Essere inutile, questa è la prova più difficile e il dramma del sacerdote.

Nella vita del sacerdote, però, è un certo peso. Questo è impossibilità di essere se stesso. Il sacerdote sempre deve rappresentare Cristo. Non può, come un soldato, togliere la divisa ed essere un "uomo normale". Sempre deve essere sacerdote, anche quando non porta la tonaca. Non può essere anonimo. Dentro di sé ha un sigillo di Cristo che non si può nascondere sotto la tuta di un operaio o sotto un vestito ben tagliato.

Tornando agli annunciatori della Buona Novella, quelli devono essere anche i laici, e molti. Qui si tratta delle due cose: proclamare la Parola di Dio e la testimonianza della vita, perché senza quell’ultima le parole saranno solo un vuoto chiacchierare.

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XV Domenica ordinaria

Lc 10, 25-37

"E chi è il mio prossimo?"
"Chi ha avuto compassione di lui."

Nel Vangelo d’oggi Cristo ci mette come esempio del profondo atteggiamento umano un Samaritano, che è più o meno uguale come mettere ai nazisti come esempio un Ebreo. È vero che gli israeliti non uccidevano i samaritani come facevano i nazisti con gli Ebrei durante l’ultima guerra, però li disprezzavano. Malgrado ciò, o forse per questo, Cristo ha dato agli Ebrei l’esempio del Samaritano. Che cosa voleva dire a loro e a noi?

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La prima cosa, che sempre bisogna dire è la verità, indipendentemente che questa a qualcuno piaccia o no. Mettere come l’esempio un Samaritano sicuramente non piaceva a tutti gli ascoltatori di Gesù. Ma la verità era questa. Non si sono chinati sull’uomo malcapitato né il sacerdote, né il levita, solo lui – il Samaritano.

Secondo, Gesù ha fatto capire, che per Lui non conta né la nazionalità, né la posizione sociale, ma il comportamento giusto. Come prossimo ha considerato proprio quel disprezzato Samaritano, e non il sacerdote o il levita. Il prossimo è quello che compie il bene, che si china su quelli che soffrono e piangono.

L’insegnamento che deriva dalla parabola del Buon Samaritano è necessario anche per noi. Poiché alcuni di noi, come ha fatto quel sacerdote e levita, non vogliono considerare prossimo certa gente. Troviamo diversi difetti, attribuiamo i nomi dispregiativi, benché Cristo ci ha chiesto di portare la Buona Novella della salvezza a tutti. Non si può evangelizzare senza amare. Evitiamo ogni pregiudizio, perché quello non ha niente a che fare con il cristianesimo.

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XVI Domenica ordinaria

Lc 10, 38-42

"Maria si è scelta la parte migliore,
che non le sarà tolta"

Nel Vangelo d’oggi Marta lamenta a Gesù che sua sorella Maria non l’aiuta nella preparazione del pranzo, ma solo ascolta Lui. "Dille – ha pregato Gesù – che mi aiuti". La risposta di Cristo ci fa molto pensare: "Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta". Gesù in quest’incontro con le sorelle non giudica quale di loro è migliore e quale peggiore. Vuole solo affermare che la "parte migliore" è quella che rimane con l’uomo per sempre. Davanti a quella deve ritirarsi ogni altra che serve solo temporaneamente.

Tocchiamo qui la cosa molto importante nella vita cristiana: la preghiera e l’atto, la contemplazione e l’agire.

La gente spesso domanda, che cosa è meglio, la preghiera o il lavoro? La risposta è: e l’uno e l’altro è buono. Solo che il lavoro deve essere penetrato con il pensiero riferito a Dio; la contemplazione sempre deve portare all’agire, secondo la norma: "contemplata tradere" - quello che abbiamo pregato e amato bisogna trasmettere agli altri. In altre parole, prima bisogna vedere Dio e l’uomo e poi compiere i propri doveri. Solo allora non ci saranno i conflitti tra la preghiera ed il lavoro. La vita comincerà ad essere davvero umana e religiosa.

La risposta di Gesù, che Maria ha scelto la parte migliore significa, che Marta si è impegnata troppo nel lavoro dimenticando che Cristo voleva dire qualcosa anche a lei. Assorbita dai lavori ha dimenticato Cristo. E quello non si può fare.

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XVII Domenica ordinaria

Lc 11,1-13

"Signore, insegnaci a pregare..."
"Quando pregate, dite: PADRE NOSTRO..."

Come abbiamo sentito, non solo noi abbiamo le difficoltà con la preghiera. L’avevano anche gli Apostoli, per questo hanno chiesto a Gesù, che insegnasse loro a pregare. Grazie a questa richiesta abbiamo ricevuto la più bella preghiera – "Padre nostro". Accanto alle stupende formule abbiamo anche indicazione della direzione, dove deve andare il nostro dialogo con Dio.

Prima di tutto dobbiamo dare gloria a Dio: "Padre, sia santificato il tuo nome"; dobbiamo chiedere che il regno di Dio si compia sulla terra. "Venga il tuo regno" cioè, il regno di verità, d’amore, della giustizia e della pace. Poi dobbiamo chiedere tutto quello che è necessario nella vita presente: "dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano". Successivamente dobbiamo chiedere il perdono dei peccati e la capacità di perdonare gli altri, che hanno peccato contro di noi. Questa è la richiesta di ordinare la nostra relazione con Dio e con gli uomini. Alla fine c'è la richiesta molto importante, di non cadere nelle tentazioni che ci minacciano sempre: "e non ci indurre in tentazione".

In seguito Gesù parla sulla costanza nella preghiera e anche di non preoccuparsi che siamo peccatori. "Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!". Importante è perché preghiamo e chiediamo.

Una cosa con la quale la gente ha più problemi è essere concentrati nella preghiera. Le lamentele sulle distrazioni sono tantissime, e non solo dai laici ma anche dalle persone consacrate. Noi dimentichiamo, che la concentrazione sulla preghiera, come ogni altra cosa, bisogna imparare. Bisogna cominciare dal prendere la coscienza, che cosa davvero è importante nella vita e dopo la vita. Questo ci condurrà davanti al volto di Dio, che è il Signore di tutto, anche delle nostre preoccupazioni e imbarazzi. Allora di tutto quello che ci viene nella testa cominciamo a parlare con Lui. Questo è uno dei modi di imparare la concentrazione e il raccoglimento.

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XVIII Domenica ordinaria

Lc 12,13-21

"Così è di chi accumula tesori per sé,
e non arricchisce davanti a Dio"

Il testo del Vangelo odierno parla di una cosa molto attuale. Quasi tutti vogliamo arricchire subito e vogliamo possedere sempre di più. La cosa peggiore è che a questo scopo non vogliamo arrivare sempre con la strada dritta, qualche volta anche con il danno agli altri. Spinti dall’avidità, dimentichiamo che la terra non è la nostra patria anche se solo per un po’ di tempo. Per questo è molto importante che cosa su questo tema ha detto Gesù.

Ecco le Sue parole: "Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni". L’uomo contento dal buon raccolto, che voleva solo riposare, mangiare, bere e darsi alla gioia, Gesù lo ha chiamato stolto. "Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?"

Così succede con ognuno "chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio". Una cosa caratteristica è che Gesù non condanna il fatto di arricchirsi, ma solo accumulare i beni per se stesso. Allora, l’uomo accumulando i beni non dovrebbe trattenerli solo per se stesso, ma dovrebbe dividerli con gli altri. Non si tratta della semplice distribuzione, ma di usare in modo giusto, che anche gli altri possano trarre i benefici. Questo possono essere i nuovi posti di lavoro, la produzione delle cose necessarie o le altre forme dell’attività che servono agli uomini. Solo così, possiamo essere ricchi davanti a Dio.

Invece ogni cupidigia è un peccato, sia davanti a Dio sia davanti ai nostri occhi. Per questo dobbiamo stare lontano da essa.

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XIX Domenica ordinaria

Lc 12, 35-40

"Siate pronti, con la cintura ai fianchi
e le lucerne accese"

Il Signore oggi c’invita ad essere pronti. Ma per che cosa? Il Vangelo stesso ci risponde: alla venuta del Signore. E non si tratta solo della venuta definitiva di Cristo cioè della nostra morte, o della fine del mondo, ma dobbiamo essere pronti all’accoglienza della grazia, dell’ispirazione di Dio, dell’esperienza religiosa, con la quale Dio vuole arricchirci.

Spinti, preoccupati con le cose della vita quotidiana spesso dimentichiamo Dio, il Quale è, e sempre viene. Lui è un eterno avvento e sempre ha qualcosa da darci. Per questo il Vangelo ci richiama all’attesa, alla vigilanza: il Signore sta arrivando e vuole dirmi qualcosa?

Che cosa significa aspettare il Signore? Significa essere pronto alla Sua venuta. E proprio qui può cominciare la discesa, le difficoltà. Affinché il Signore possa venire, bisogna rinunciare al peccato. Bisogna abbandonare i vizi, cominciare a lavorare onestamente, non litigare, smettere di odiare. In altre parole: bisogna cominciare a vivere cristianamente.

Naturalmente, il Signore può venire da noi anche senza la nostra preparazione, ma in questa situazione possiamo rimanere paralizzati dalla paura, com’è successo con gli Israeliti ai piedi di monte Sinai, quando pregavano Mosé di parlare loro da solo, perché non erano in grado di sopportare la voce di Dio.

Considerando, che il tempo della venuta del Signore non è stabilito e Lui può venire in ogni momento, il Vangelo ci richiama alla vigilanza. Prendiamo in considerazione anche questo organizzando la nostra vita.

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XX Domenica ordinaria

Lc 12, 49-57

"Sono venuto a portare il fuoco sulla terra;
e come vorrei che fosse dià acceso!"

È straordinario il contenuto del Vangelo d’oggi. Cristo è venuto a portare il fuoco sulla terra. Il fuoco del nuovo amore e della fede – fede in Lui. Solo il pensiero di ciò poteva agitare non solo gli Ebrei più tradizionalisti ma anche gli altri. Ma questo non era solo il pensiero. Cristo davvero proclamava la nuova dottrina, si faceva uguale a Dio ed esigeva la fede in se Stesso. Il Suo insegnamento conduceva alle grandi discussioni e provocava le divisioni, non solo tra gli scribi, ma anche fra la gente semplice. Sanati miracolosamente non trovavano le parole d’apprezzamento per il Maestro. Altri invece, che non hanno sperimentato questa grazia erano avviliti, perché loro non avevano questa fortuna, anche se spesso erano così vicino a Gesù.

In questo contesto si capisce meglio la frase di Cristo: "si divideranno tre contro due e due contro tre". Gesù dall’inizio della vita pubblica era glorificato dagli uni e dagli altri era odiato, in modo particolare dai farisei che si ritenevano giusti. E praticamente così è rimasto fino ad oggi. La differenza è questa, che oggi non si attacca Gesù direttamente, ma i Suoi seguaci, che vogliono vivere secondo il Vangelo. Li si chiama fanatici, esaltati o con altri nomi spregiativi. Solo perché loro vogliono vivere, come san Francesco o altri santi, seguire Gesù e mostrare con la propria vita che cosa significa essere cristiano.

Non ci scandalizziamo e non ci meravigliamo se sempre si troveranno alcuni, che non sopporteranno quelli che trattano la propria fede in modo serio, senza limitarsi all’ascolto della Messa domenicale, ma s’impegnano nella vita della Chiesa.

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XXI Domenica ordinaria

Lc 13, 22-30p

"Signore, sono pochi quelli che si salvano?"

Chi sarà salvato? Ecco la domanda che ci tormenta spesso. Ci domandiamo anche: che cosa succederà con i non credenti?

Allora cominciamo da questi ultimi, i non credenti. I non credenti saranno salvati così come i credenti, se faranno di tutto per conoscere le verità su Dio, se si comporteranno secondo la loro coscienza modellata e basata sulla luce interiore che è stata data ad ogni uomo su questo mondo.

Quando si tratta dei credenti, la faccenda diventa più complicata, perché anche le esigenze sono più grandi per causa dei doni ricevuti da Dio. Quello che dice Gesù è straordinario. Non conta se qualcuno era vicino a Cristo o no. Si può affermare che non è importante se il signor "X" frequentava la Santa Messa o no, faceva la Santa Comunione o no. Importante è, come si comportava come uomo.

Gesù può dire a quelli che vogliono entrare nel Suo Regno: "Non vi conosco, non so di dove siete. Allora comincerete a dire: Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze. Ma egli dichiarerà: Vi dico che non so di dove siete. Allontanatevi da me voi tutti operatori d’iniquità". Allora i salvati, secondo il Vangelo d’oggi saranno non quelli che pensavano di essere vicino a Dio, ma i giusti, i buoni, i compassionevoli. Quelli che hanno saputo vedere Gesù nei poveri e nei sofferenti. In altre parole: saranno salvati quelli che camminando sulle strade della vita hanno compiuto il bene.

Allora forse ci sorge una domanda: Non è importante frequentare la Santa Messa, accostarsi ai sacramenti, se contano solo le opere buone? No, non possiamo dire così. Questa sarebbe una conclusione sbagliata. La preghiera, la partecipazione alla Santa Messa e ai sacramenti ci sono necessarie per compiere il bene in ogni situazione della vita.

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XXII Domenica ordinaria

Lc 14, 1.7-14p

"Quando sei invitato a nozze da qualcuno,
non metterti al primo posto..."

Che cosa ci consiglia oggi il Signore? Di non scegliere i primi posti, ma piuttosto gli ultimi, perché sono più sicuri. Nell’ordine quotidiano nessuno li vuole. Essi però, hanno un valore, perché l’uomo che ne occupa uno, può essere invitato a scambiarlo con uno più alto, e a questo è legato il riconoscimento. Dai posti più alti si può solo cadere più basso, - dagli ultimi mai. E questo è il vantaggio di essi. Ma non solo. Mettendosi al primo posto corriamo il rischio di un’umiliazione, all’ultimo – no. E a noi non piacciono le umiliazioni. Ma nella lezione di Cristo non si trattava solo di dare buoni consigli. Lui voleva dirci di non avere pretensioni, di non gonfiarsi, perché questo è ridicolo e non serve a nulla, ed è anche poco cristiano.

Per mettersi in guardia ha aggiunto che non è una bella cosa esaltarsi, perché questo è legato alla presunzione e alla superbia. E a Dio non piacciono i superbi.

Alla fine del Vangelo d’oggi Cristo ci chiama all’amore senza interessi, parlando dell’invito al banchetto degli uomini poveri, che non avranno la possibilità di ricambiare. Lui ci assicura un contraccambio nel regno dei cieli e la gioia interiore.

Credo, però, che Cristo non pensava solo ai banchetti per i poveri, ma a tutto ciò che a loro serve. E questo è attuale sempre e dappertutto.

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XXIII Domenica ordinaria

Lc 14, 25-33

"Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me,
non può essere mio discepolo"

Il Vangelo d’oggi si può leggere in due modi. Prima come un messaggio indirizzato a tutti i credenti. Allora le sue esigenze radicali per dimenticare tutti i propri cari e addirittura se stessi, in altre parole rinunciare a tutto, segnano la direzione della vita, nella quale Dio dovrebbe trovare sempre al primo posto e la nostra vita dovrebbe essere sottomessa alla Sua volontà. Ma si può anche leggere questo brano come un messaggio indirizzato solo a quelli che vogliono dedicarsi al suo servizio. Allora le esigenze di Gesù non hanno solo un carattere direzionale ma toccano le rinunce radicali già dal momento della chiamata e dalla presa della decisione.

Proviamo a vedere le esigenze indirizzate ai chiamati al servizio di Dio. Cristo le ha racchiuse nell’unica breve frase: "Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo".

Che cosa significa ciò? Questo è molto importante per ogni uomo. Rinuncia della propria famiglia, distanziarsi anche dai genitori e dai fratelli – se è necessario, abbandonarsi totalmente a Dio fino a dimenticare se stesso. Rinuncia di tutto, anche della propria vita. Essere pronto alla sofferenza e a tutte le scomodità della vita che ci richiede questa particolare vocazione.

Cristo, però, sapendo che l’uomo è debole e non sempre riesce ad affrontare queste esigenze, consiglia a tutti quelli che vogliono dedicare la propria vita a Lui, di pensare e ripensare su questo: vi basteranno le forze? Mettetevi seduti e meditate – diceva – perché dopo non vi deridano.

Ci sono stati uomini che hanno lasciato tutto per seguire Gesù? Sì! Prima l’hanno fatto gli Apostoli, e dopo di loro tanti straordinari uomini come: San Francesco d’Assisi, San Giovanni Maria Vianney, Santa Teresa e tanti, tanti altri.

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XXIV Domenica ordinaria

Lc 15, 1-32

"Così, vi dico, c'è gioia davanti agli angeli di Dio
per un solo peccatore che si converte"

Ci sono le ragioni economiche e le ragioni di cuore. Di che cosa si tratta? Nella parabola del Figlio prodigo abbiamo a che fare con tutte e due le ragioni. Il padre accoglie il figlio prodigo con le braccia aperte, non fa i conti con lui, non domanda che cosa ha fatto con il patrimonio che ha ricevuto, ma si rallegra che il figlio che si è perduto adesso si è ritrovato. Anzi, prepara a lui il banchetto del bentornato.

Questo era troppo per l’altro figlio che è rimasto a casa e ha lavorato sodo con il padre. Vedendo ciò ha cominciato a rimproverare il padre, che a lui non è stato mai permesso di fare neanche una piccola festa con gli amici.

L' atteggiamento del "buon" figlio, anche se non ci piace, non è privo della ragione giusta ed economica. Infatti lui ha lavorato onestamente e poteva contare su un premio. Ma anche il padre aveva le proprie ragioni. Queste si chiamano le ragioni di cuore, le ragioni dell’amore, le quali superano l’economia e anche la giustizia. Il padre gioisce, perché il figlio che si era perduto, è ritornato e ha detto: scusa. "Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio". Questo è bastato al padre. Si è rallegrato che il figlio è cresciuto, è migliorato ed è tornato.

Sappiamo bene com’è difficile tornare e ancora più difficile chiedere scusa, ammettere il proprio sbaglio. Per questo con gran riconoscenza e simpatia guardiamo il figlio prodigo e con l’indifferenza trattiamo il figlio onesto ma adirato con il padre. Lui aveva le proprie ragioni ma anche il padre le aveva. Le ragioni che sono così vicine ad ogni cuore che riesce a rallegrarsi per il gran bene e soprattutto per la conversione.

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XXV Domenica ordinaria

Lc 16, 1-13

"Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, ..."

L’elogio della truffa – così si potrebbe giudicare in un primo momento il brano evangelico d’oggi, quando sentiamo l'apprezzamento dell’amministratore che falsa i conti. La questione, però, si presenta in modo diverso quando leggiamo attentamente le conclusioni di Gesù.

Di che cosa si tratta? Di una cosa molto semplice e quotidiana. La preoccupazione della gente per i propri interessi è così grande, che non esita ad usare mezzi proibiti. Quando invece si tratta delle cose spirituali e della salvezza, la gente non presenta tanta attività e spesso le dimentica completamente. Cristo ha sommato tutto ciò con la conclusione: "I figli di questo mondo, infatti, … sono più scaltri dei figli della luce".

Dopo, Gesù trae altre conclusioni. "Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto". Questa è una sacrosanta verità. Questo conferma la vita. Ma Cristo non finisce qui e dice ancora: "Se dunque non siete stati fedeli nell’iniqua ricchezza, chi vi affiderà quella vera?". Esatto! Se qualcuno non è onesto nelle cose della terra, sarà giusto nelle cose che riguardano la salvezza sua o degli altri? Questa è la domanda che ci suggerisce oggi il Salvatore. Spostare l’accento - dall’eternità al presente, dalle cose spirituali a quelli materiali, dall’amore al cercare solo se stessi – questo minaccia tutti quanti. In fine Cristo Gesù non lascia neanche l’ombra del dubbio dicendo: "Non potete servire a Dio e a mammona". È proprio così, non possiamo!

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XXVI Domenica ordinaria

Lc 16, 19-31

"... neanche se uno risuscitasse dai morti sarebbero persuasi."

A prima vista sembra che il Vangelo d’oggi racconta solo la vita e la morte del ricco uomo, che era insensibile alla sorte del povero che giaceva alla porta del suo palazzo. Invece il Vangelo tratta un problema sempre attuale – il problema della fede.

Il ricco, soffrendo le pene dopo la morte, chiede ad Abramo, perché lui mandi Lazzaro ai suoi fratelli per informarli su cosa aspetta loro, se si comporteranno così come lui. Abramo ha detto: Niente da fare. "Hanno Mosé e i Profeti; ascoltino loro". Sì, questo è vero – ha risposto il riccone – ma se qualcuno dai morti andasse da loro, allora si convertiranno. "Se non ascoltano Mosé e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti sarebbero persuasi" - ha risposto Abramo. E aveva ragione. La fede non è il problema dei fatti, dell’esperienza fisica, ma il confidare nella Parola di Dio. Crediamo non perché vediamo, ma perché Dio ha detto così.

Purtroppo anche noi non capiamo molto bene tutto ciò e per questo diamo tanta fiducia a tutte le presunte apparizioni e le persone che "hanno visto". Non crediamo alla Parola di Gesù ma ai propri sensi o alle persone che hanno sperimentato qualcosa di religioso.

La fede, questo ripeto ancora una volta, questa è una fiducia data alla Parola di Dio e basato su questo il contatto personale con Cristo Gesù.

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XXVII Domenica ordinaria

Lc 17, 5-10

"Aumenta la nostra fede!"

Che cosa è la fede che pregavano gli Apostoli, e la mancanza della quale ha rimproverato a loro e a noi Gesù nel Vangelo d’oggi?

La fede religiosa è la grazia data nel momento del battesimo. Perché allora accusiamo la sua debolezza o addirittura la mancanza? La fede che c’è stata data nel battesimo e solo la fede in stato embrionale – è la possibilità, è come il dono della facoltà di parlare dato ad un neonato. Se non insegniamo al bambino a parlare allora, pronuncerà solo i suoni non articolati. Similmente succede con la fede. Se non la pratichiamo, rimane sempre debole, suscettibile ad ogni pericolo.

Che cosa significa praticare la fede? Prima di tutto bisogna pregare per essa. Nella preghiera chiediamo l’approfondimento e la fortificazione di essa. Poi, nella preghiera si arriva all’incontro personale con Dio, cioè attualizzazione della fede. Più frequenti e più intensi saranno questi incontri, più forte sarà la fede. In più, nelle faccende quotidiane bisogna vivere nelle vicinanze di Dio. Ciò non significa che in ogni momento dobbiamo pensare a Lui, perché questo è impossibile. Possibile invece e necessario è formare la nostra vita basandosi sulle regole evangeliche, se vogliamo essere veri seguaci di Cristo.

Un grande aiuto nella fortificazione e nell’approfondimento della fede è il quotidiano contatto con la Sacra Bibbia come con la Parola indirizzata a noi e la vita eucaristica. Ogni Santa Messa dovrebbe essere legata con la Santa Comunione. Solo allora Dio diventa un reale compagno della nostra vita, e non solo come un idea; non come qualcuno molto lontano ma vicino e sensibile, come Quello più importante della nostra esistenza.

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XXVIII Domenica ordinaria

Lc 17, 11-19

"Andate a presentarvi ai sacerdoti..."

"La tua fede ti ha salvato" – così ha detto Gesù al samaritano miracolosamente guarito.

Nelle letture liturgiche delle ultime domeniche, e anche oggi, come un bumerang, ritorna il tema della fede.

Spesso diciamo che la fede fa i miracoli, la fede sposta le montagne. Gesù stesso conferma oggi questa convinzione. Bisogna, però, ricordare che il miracolo non lo compie l’uomo con la sua fede, ma lo opera Dio nel Quale si confida e in Cui si crede. L’uomo deve credere che Dio possa fare tutto. Non solo sanare le nostre anime malate, ma anche ridare la salute del corpo - come risulta dal Vangelo d’oggi.

Con la guarigione dei dieci lebbrosi è legato anche un altro problema – la questione della gratitudine. Solo uno dei dieci sanati, in più un Samaritano e non un ebreo non ortodosso, è ritornato per ringraziare Gesù.

La gratitudine non è un nostro lato forte, sia nei confronti con gli uomini sia con Dio. Spesso è difficile dire la parola "grazie" per il bene ricevuto. Succede anche che ci offendiamo, quando qualcuno richiede da noi la restituzione del prestito. E forse quel qualcuno che una volta ci ha aiutato oggi si trova in una situazione critica.

Quando guardiamo le intenzioni delle Sante Messe, sono quasi sempre per i morti. Una volta ogni tanto si può trovare un’intezione-richiesta per qualcosa, ma quasi mai si trova una messa per ringraziare. Peccato! A Dio non piace essere debitore e per la gratitudine ripaga con gli interessi, venendoci con l’aiuto anche quando non Lo chiediamo.

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XXIX Domenica ordinaria

Lc 18, 1-8

"Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà
troverà la fede sulla terra?"

Di nuovo, questa domenica, la liturgia con le sue letture, tocca il problema della fede, benché sotto un altro aspetto: la preghiera. Cristo Gesù servendosi della parabola del giudice disonesto conclude: "E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui?". Nella questione non si tratta solo della preghiera ma la costanza nel pregare. Per avere questa costanza l’uomo deve avere la fede viva. Proprio questo che preoccupa Gesù quando dice: "Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?". Proprio questo. Troverà questa fede?

Certamente la fede nel mondo odierno è stata contestata, messa in dubbio, e in modo completamente diverso che negli altri tempi. Una volta si facevano dissidi su chi è Dio, esiste o non, come conoscerlo. Oggi, specialmente per gente occidentale, il tema "Dio" non interessa per nulla. Tanti affermano che riescono nella vita anche senza di Lui. Solo nei momenti delle tragedie e dei cataclismi costatano che non tutto è così semplice. Solo allora si riempiono le chiese e si elevano le lamentele al cielo.

La preghiera necessita della fede, si alimenta con la fede, muore quando manca la fede. Perciò parlando della preghiera sempre bisogna ricordare la fede.

Il Vangelo d’oggi parla anche della costanza nella fede. Non basta recitare la preghiera una volta sola. Bisogna pregare sempre. Proprio a questo ci invoglia oggi Gesù.

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XXX Domenica ordinaria

Lc 18, 9-14

"Due uomini salirono al tempio a pregare..."

Due preghiere: la preghiera del fariseo e quella del pubblicano. E l’uno e l’altro pregavano. Ma solo la preghiera del pubblicano è stata esaudita. Perché? Anche noi, deboli e peccatori, non liberi dalla presunzione, mai oseremmo pregare come il fariseo che solo ringraziava Dio perché non era così peccatore come gli altri.

Poverino, forse non era cosciente come era peccatore. Perché il peccato della superbia è il più grande dei peccati. Questo è il peccato dell’angelo ribelle. Il suo attributo è la mancanza del senso critico e la cecità spirituale. Non si può pregare indicando il peccato altrui. In più è impensabile la preghiera che evidenzia i propri meriti.

La preghiera del fariseo ci dimostra a quale deformazione può condurre aver fiducia solo in se stesso! Per questo Gesù ha dichiarato che la preghiera fatta così non può essere esaudita.

E come ha pregato il pubblicano? In modo completamente diverso da quello del fariseo. Proprio così come tutti noi vorremmo pregare. "O Dio, abbi pietà di me peccatore". Sentendosi peccatore e povero non osava neanche alzare gli occhi al cielo, e nello stesso tempo confidava nella bontà di Dio, nella Sua generosità. Era convinto che Dio sapesse che cosa fosse necessario per lui. Non servono le parole in eccesso ma solo vedersi nella verità. E la verità è questa, che tutto il bene che possiede l’uomo viene da Dio. Per questo il pubblicano è andato a casa giustificato ed esaudito.

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XXXI Domenica ordinaria

Lc 19, 1-10

"Zaccheo, scendi subito,
perché oggi devo fermarmi a casa tua"

Zaccheo – questo è un uomo molto interessante. Non gli sono bastati i soldi che possedeva ed i negozi pieni di profumi. Lui voleva ancora vedere Gesù, sul Quale ha sentito tante cose. Per causa della piccola statura si è arrampicato su un albero per vedere meglio quello straordinario Maestro. Ed è successo. Nel momento in cui Gesù passava accanto all’albero, Zaccheo ha udito le parole, la chiamata di Gesù. In più Lui voleva fermarsi a casa sua. Questo ha scandalizzato alcuni Ebrei ortodossi. "È andato ad alloggiare da un peccatore" - hanno mormorato. A Zaccheo questo non impediva ad ospitare Cristo.

Ma questa non è la cosa più importante nel Vangelo d’oggi. La più importante è la conversione, il cambiamento, che ha vissuto Zaccheo in questi pochi istanti. Quello spilorcio, non sempre onesto, si è messo davanti a Gesù ed ha detto: "Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri, e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto".

Noi sappiamo che cos’è l’amore per i soldi, accumulare e raccogliere. Com’è difficile liberarsi dal loro potere. Zaccheo questo ha fatto in un solo momento. Non importante è diventata per lui la ricchezza e la posizione tra i mercanti. Non gli importava l’opinione degli altri. Per lui importante è diventato solo Gesù.

Ci fanno pensare due cose. La trasformazione e la velocità di essa. In questo non c’era nessun dubbio, nessuna valutazione pro e contro Nella trasformazione di Zaccheo era qualcosa dal dramma della conversione di San Paolo. Per dire la verità qui non c’era il cavallo e neanche la luce straordinaria, ma l’effetto era lo stesso e anche più veloce. Ed infine questa era la conversione totale e per sempre.

Che cosa significa tutto ciò? Significa la gran grazia di Dio e l’apertura di Zaccheo sulle cose che superano il mondo della materia.

Cristo è venuto nel mondo per "cercare e salvare ciò che era perduto". Sull’esempio di Zaccheo ci ha mostrato come bisogna fare quando sulla nostra strada incontriamo l’uomo aperto alla grazia di Dio.

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XXXII Domenica ordinaria

Lc 20, 27-38

"Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi"

L’uomo sempre aveva nostalgia dell’immortalità e sempre domandava: ci sarà la vita dopo la morte? La risposta a questa domanda ce l'ha portata Gesù. Lui stesso è risuscitato e ci ha assicurato che anche noi risusciteremo. Il fatto della Sua risurrezione ha confermato con le tantissime apparizioni.

La prima persona che ha incontrato il Risorto è stata Maria di Magdala. All’inizio non Lo ha riconosciuto. Successivamente Gesù è apparso agli Apostoli che pensavano di vedere un fantasma. Per far svanire i loro dubbi, ha detto loro: "Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho". Ha ordinato anche di darGli il pesce e ha mangiato con loro. E così Lo hanno visto "più di cinquecento fratelli". A Tommaso incredulo ha permesso di mettere la mano sul costato trafitto. È apparso ai discepoli di Emmaus. Una altra volta, dopo la notturna pesca si è presentato davanti agli Apostoli e ha domandato: "Figlioli, avete qualcosa da mangiare?". La pesca era infruttuosa, allora non avevano niente. Allora ha ordinato di gettare ancora una volta la rete. E quando sono tornati con una grande quantità di pesci Lui già li aspettava con il pane e con il pesce arrostito. Mangiate, ha detto. E nessuno Gli domandava chi era, perché sapevano bene che era il Signore. Proprio in queste maniere Gesù convinceva gli Apostoli e gli altri sulla Sua risurrezione.

La verità sulla nostra risurrezione si basa su due premesse: sulla dottrina di Cristo e sul fatto della Sua Risurrezione. Naturalmente la nostra curiosità suscita la domanda: come saremo dopo la risurrezione? Tutto il mondo risusciterà?

Quando si tratta di noi, allora sono convinto che saremo simili a Gesù Risorto. Lui era lo stesso e non lo era. E allora com’era? I teologi parlano del corpo glorificato. Penso, però, che questo lo scopriremo solo nel momento della risurrezione. Sono anche convinto che insieme con noi anche il mondo acquisterà le nuove dimensioni, perché siamo con esso legati integralmente.

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XXXIII Domenica ordinaria

Lc 21, 5-19

"Verranno giorni in cui, di tutto quello che ammirate,
non resterà pietra su pietra che non venga distrutta"

La domanda sulla fine del mondo non è solo una domanda religiosa. Se la pongono anche gli scienziati. Una parte di loro accetta quest’eventualità. Cristo nella Sua dottrina è univoco. La fine del mondo ci sarà. Il suo tempo, però, è nella gestione di Dio. Benché anche gli uomini, come suggeriscono alcuni scienziati, potrebbero annientare nostra madre terra.

Cristo oggi parla anche dei segni che accompagneranno la fine del mondo. Ci saranno guerre, ribellioni, fame e carestie. L’odio s’impadronirà dei cuori umani. Ci saranno terremoti e terribili segni sul cielo, il sole si oscurerà e la luna non darà il proprio splendore. Una cosa è caratteristica, che il racconto biblico della fine del mondo concorda con le ipotesi scientifiche che ammettono la possibilità della catastrofe cosmica. Però, l'unica cosa che c’interessa è la domanda, come dobbiamo prepararci a quell’ultimo giorno?

Alcuni suggerimenti in questione ce li dà il Vangelo odierno. Secondo il Vangelo dobbiamo soprattutto aver fiducia in Cristo, seguire la Sua dottrina ed essere sempre fedeli a Lui. Non dobbiamo cadere nel panico anche quando vengono le persecuzioni o altri tormenti. La salvezza, cioè entrare nel regno celeste ci sarà grazie alla perseveranza e fedeltà all’insegnamento di Gesù.

Allora tutto è chiaro. Benché il tempo della fine del mondo non è segnato e può rivelarsi in ogni momento, dobbiamo essere sempre preparati a quest’avvenimento. La preparazione consiste nel cordiale legame con Gesù, cioè nella vita nella grazia santificatrice. La nostra vita deve essere sempre basata sul comandamento d’amore. Naturalmente, dobbiamo in modo serio compiere i nostri doveri sia famigliari sia professionali. E questo è tutto.

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Cristo Re dell’universo

Lc 23, 35-43

"In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso"

Sotto la croce, si scontrano due logiche: quella divina e quella umana

La prima ragiona in questo modo: se ha salvato gli altri e non può salvare se stesso, che Messia è? Quando aveva il potere a portata di mano (dopo la moltiplicazione dei pani, nell'entrata trionfale in Gerusalemme, quando le folle erano entusiaste di lui), perché non ne ha approfittato?

La logica divina si pone su una linea ben diversa. Gesù può, ma non vuole salvare se stesso, perché ha legato liberamente la sua volontà a quella del Padre: se si comportasse secondo la logica umana, non sarebbe immagine di un Dio, amore fino alla pazzia.

La regalità di Cristo è una realtà, dinanzi alla quale ciascuno deve prendere posizione. Sotto la croce i personaggi si atteggiano in un modo molto diverso gli uni dagli altri. Ideale è il comportamento di Maria, di Giovanni e delle pie donne. Alcuni insultano e provocano Cristo. La maggior parte della folla si accontenta di assistere passivamente.

Il buon ladrone sa di essere peccatore e, vedendo Gesù morire "in quel modo", ha sufficienti motivi per fare la sua scelta di fede, che lo porta alla salvezza: un "poco di buono", un "poco raccomandabile" diviene il primo cittadino del regno di Cristo.

Noi, quale di questi atteggiamenti pensiamo bene di assumere? Non possiamo rimanere neutrali: non prendere alcuna posizione equivale ad avere scelto in modo negativo.

La decisione giusta, poi, dobbiamo prenderla oggi, solennità di Cristo re. Non ci pentiremo, perché noi pure "oggi saremo con lui in paradiso", giacche il paradiso è l'essere con Gesù.

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