Domeniche del Tempo Ordinario
Anno Liturgico B - 2012

II Domenica ordinaria
III Domenica ordinaria
IV Domenica ordinaria
V Domenica ordinaria
VI Domenica ordinaria
Domenica della Santissima Trinità
XI Domenica ordinaria
XIII Domenica Ordinaria
XIV Domenica Ordinaria
XV Domenica Ordinaria
XVIII Domenica Ordinaria
XXI Domenica Ordinaria
XXII Domenica Ordinaria
XXIV Domenica Ordinaria
XXVII Domenica Ordinaria
XXVIII Domenica Ordinaria
XXX Domenica Ordinaria
XXXI Domenica Ordinaria
XXXII Domenica Ordinaria
Domenica di Cristo Re dell'Universo

II Domenica Ordinaria
Anno B

(Gv 1,35-42)


«Videro dove dimorava e rimasero con lui»

Grazie alle relazioni di Giovanni Evangelista sappiamo come si creava il gruppo dei primi discepoli di Gesù. I primi dai primi, precedentemente appartenevano ai discepoli di Giovanni Battista. Un giorno – probabilmente con il permesso dell’attuale maestro – hanno deciso di andare a vedere dove abita Gesù, che già chiamavano maestro. E sono andati. Volevano fare ciò con la discrezione, per non farsi vedere, ma Gesù li ha notati. E hanno visto dove abita e questo giorno si sono fermati “quel giorno rimasero con lui”. Allora possiamo dire che questa non era neanche la “vocazione”, ma un “permesso”  per stare vicino a Gesù!
E subito hanno cominciato ad evangelizzare. Oggi si potrebbe dire che hanno cominciato la “pastorale vocazionale”. Grazie a Andrea, uno die primi due, si è trovato davanti al Salvatore, Simone al quale Gesù ha cambiato il nome in Pietro.
Dobbiamo riconoscere che questo brano del Vangelo e anche tutta la liturgia odierna viene incontro ai bisogni della Chiesa di oggi, e in modo particolare ai bisogni della nostra diocesi che sta soffrendo la mancanza dei sacerdoti. Anche oggi abbiamo bisogno dei personaggi come Samuele, Giovanni, Andrea, Simone Pietro, che riescano a svegliare le nuove vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa.

III Domenica Ordinaria
Anno B

(Mc 1,14-20)


«Convertitevi e credete al Vangelo»

Di nuovo risuona oggi nelle chiese di tutto il mondo il grido di Gesù: Convertitevi!
Convertirsi – questo alcune volte significa come hanno fatto i discepoli del Vangelo: hanno lasciato tutto che era per loro più importante nella vita. Forse alcuni di noi necessitano una conversione così!!?? Si, più di un cristiano – forse proprio tu? – dovrebbe rompere con tutto quello che ha dominato la sua vita fino ad ora. Invece tutti noi necessitiamo la conversione un po’ più “leggera”.

Così come gli abitanti di Nìnive dalla Prima Lettura: “Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece.” La nostra società – come Nìnive - non ha bisogno della conversione? Non corriamo rischio di una catastrofe se non cambiamo la rotta? Convertitevi! – grida Gesù anche a tutti noi! Perché «Ancora quaranta giorni e sarà distrutta»… Nìnive??? Proviamo a non essere troppo presuntuosi!
“E subito lasciarono tutto e lo seguirono” – così racconta San Marco nel Vangelo la vocazione degli Apostoli. Penso che è arrivato il tempo di lasciare tutto quello che è male e non fruttuoso. Forse a qualcuno di noi è rivolto un invito di seguire Gesù nella vita consacrata, e solo gli manca il coraggio di dare la risposta giusta?

A tutti auguro il coraggio! Tutti siamo necessari  nella costruzione del mondo nuovo!

IV Domenica Ordinaria
Anno B

(Mc 1,21-28)


«Insegnava loro come uno che ha autorità»

Siamo abituati dire che Gesù ha cominciato la sua missione sulla terra dal miracolo nella Cana di Galilea. Invece la verità è quella che Gesù ha cominciato dall’insegnamento, dalla proclamazione del Vangelo. Gli ascoltatori dovevano essere molto attenti e hanno capito che le parole proclamate da Gesù erano straordinarie. Non si trattava solo della profondità della sapienza ma anche il modo di insegnare. Il suo dire suscitava negli ascoltatori lo stupore della freschezza e della potenza. Questo insegnamento non era solo parafrasare o commentare dei brani della Sacra Scrittura, ma era il proclamare della Verità!
Gesù insegnando richiamava conosciuti brani della Bibbia ma rivelava le verità nascoste in essi e dava e questi il nuovo senso. Faceva tutto questo con la grande naturalezza e autenticità, così che le sue parole entravano facilmente nei cuori e nei menti degli ascoltatori. Loro sentivano che questo insegnamento non è solo pura teoria ma una ispirazione ad agire secondo le norme appena udite. Gesù emanava da se una grande forza spirituale che entrava nel tutto essere umano.
Satana ha sperimentato per primo questa forza. Per lui significava la sconfitta finale. Era cosciente con chi ha da fare. Sapeva che questa era la forza che liberava tutti che finora erano sotto il suo indiscutibile dominio. Quell’uomo posseduto, come migliaia e milioni degli altri, apparteneva al regno di satana, era il suo suddito. Gesù è venuto per mettere fine a questa situazione e liberare l’umanità da questo dominio. Per questo la liberazione di quell’uomo era la continuazione dell’insegnamento di Gesù, era la dimostrazione pratica di quello che proclamava.
Tutti con grande gioia ed entusiasmo hanno accettato la vittoria di Gesù. Dobbiamo però ricordare che dopo il momento di euforia alcuni hanno cominciato a guardare Gesù con occhio critico e a voce alta hanno cominciato esprimere le loro perplessità. La dottrina di Gesù che suscitava entusiasmo ed attirava ha cominciato svegliare le opposizioni. I farisei hanno faticato tanto per  minare l’autorevolezza di Gesù e hanno cominciato a seminare i dubbi nei cuori dei semplici ascoltatori, forse senza pensare che così hanno realizzato il piano difensivo di satana. Così è cominciata la battaglia finale tra Dio e satana per dominare il mondo e l’uomo.

V Domenica Ordinaria
Anno B

(Mc 1,29-39)


«Guarì molti che erano affetti da varie malattie»

Nel Vangelo di oggi incontriamo Gesù taumaturgo – guaritore.
Ma guardando con l'occhio della fede in questa scena noi non possiamo non notare l’ultima frase che pronuncia Gesù: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!».
Gesù sapeva che non è stato inviato solo ad alcuni, ai prescelti. Sapeva che il Padre l’ho ha mandato a ritrovare e riportare all’ovile tutte le pecore smarrite.
Il Maestro di Nazaret è uscito dalla sua città ed è andato in Galilea. Ma dopo è venuto il tempo di abbandonare il paese dei pescatori e andare in tutta Palestina visitando le città e paesi fino ad arrivare a Gerusalemme, al Golgota. Ma il monte del ”Cranio” non ha finito la Sua missione. È venuto anche a Roma, a Pisa, a Campo!!!

Dappertutto ha lasciato il Suo segno, la Sua dottrina, ed non è andato via. È rimasto qui! Ci guarda e gioisce del bene. Ma forse guardando noi – ogni tanto piange???

VI Domenica Ordinaria
Anno B

(Mc 1,40-45)


«La lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato»

Gli uomini malati di lebbra erano le creature più infelici  e disgraziate nelle società antiche. La loro vita era un inferno qui sulla terra. Le persone sane non si avvicinavano a loro perché avevano paura del contagio. Per questo li odiavano considerandoli come peccatori. Il Libro Levitico dell’ antico Testamento prescriveva per loro dei precetti particolari: dovevano portare i vestiti strappati, i capelli dovevano essere disordinati e dovevano coprire una parte del viso. Ogni lebbroso vedendo le persone sane era obbligato ad avvisarle con un grido “impuro, impuro!”. Dovevano vivere nei posti isolati, lontano dalle città e dai paesi dove abitavano le persone sane.
Proprio un uomo così si è prostrato davanti a Gesù supplicandolo: “Se vuoi, puoi purificarmi!” Gesù “tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!”
La Bibbia paragona spesso la lebbra al peccato. In questo senso tutti noi siamo spiritualmente lebbrosi, perché tutti commettiamo peccati, che ci fanno infelici e ci portano alla morte spirituale. Se la lebbra spirituale dei peccati umani si potesse vedere sulle facce, allora il nostro aspetto sarebbe peggiore dei visi o dei corpi dei lebbrosi.
Carissimi, così coma la lebbra non curata porta alla morte del corpo, così’ anche la lebbra del peccato porta alla morte spirituale. La lebbra spirituale sana Gesù stesso nel Sacramento della Penitenza. Tante volte non riusciamo a capire come grande è questo Sacramento e come dobbiamo essere grati a Gesù perché lo ha istituito. Proviamo a immaginare che esista un sacramento che guarisca l’AIDS o le altre malattie. Gli uomini sarebbero disposti a celebrarlo giorno e notte. Invece il Sacramento che sana le nostre anime è molto spesso ignorato o dimenticato.
È una grande fortuna per noi cattolici che abbiamo questo grande Sacramento. Sono infelici quelli che non lo hanno o lo vogliono celebrare. Soffrono di rimorsi di coscienza e sempre si sentono colpevoli. Questo Sacramento è apprezzato dalle altre religioni. Alcuni  scelgono un proprio psicoanalista e così cercano di liberarsi da tutto quello che li perseguita. Ma quello non è  altro che la magra imitazione del Sacramento della Penitenza, e in più bisogna pagarla. Invece Cristo Gesù ci ama e ha istituito questo Sacramento GRATIS!!!
“Se vuoi, puoi purificarmi!” – ha gridato l’uomo del vangelo di oggi. Se vuoi, puoi purificare la mia anima dai peccati, dovremmo gridare tutti noi, avvicinandoci al confessionale!
Ringraziamo oggi Ge
sù perché sana le nostre anime dalla lebbra dei peccati e preghiamo con il salmo:

Beato l’uomo a cui è tolta la colpa
e coperto il peccato.
Beato l’uomo a cui Dio non imputa il delitto
e nel cui spirito non è inganno.

Ti ho fatto conoscere il mio peccato,
non ho coperto la mia colpa.
Ho detto: «Confesserò al Signore le mie iniquità»
e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato.

Santissima Trinità
Anno B

(Mt 28,16-20)

«Battezzate tutti i popoli
nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo
»

Il dubbio degli Apostoli nel momento dell’Ascensione potrebbe sembrarci scandaloso, ma questo è la prova che solo vedere Gesù risorto non basta per essere certi nella fede.
Questo anche prova che gli Apostoli non erano nella situazione privilegiata, come sembra a tanti di noi. Anzi, forse stare con Gesù nelle situazioni quotidiane, non permetteva a credere che Lui è il Figlio di Dio!!!??? Gesù non solo faceva i miracoli. Succedeva che per l’incredulità della gente non poteva fare un miracolo, anche se volesse. Gli Apostoli erano anche testimoni delle debolezze e limitazioni della natura umana di Gesù. Erano testimoni dell'arresto, della passione e della morte. Anche la Risurrezione non era in grado di cancellare questi impressioni negative, e proprio in questo si rivelavano i loro dubbi.
Penso che oggi è più facile credere nella vera umanità e vera divinità di Gesù. Per noi tutto ciò è un’idea teologica e catechetica – senza un rapporto alla realtà. È facile accogliere e accettare, perché fino in fondo non siamo coscienti delle conseguenze. Per gli Apostoli questo non era un’idea astratta, ma la viva realtà, una Persona viva che conoscevano e amavano, la quale potevano toccare e ascoltare.
Completamente incompressibile doveva essere per loro il mistero della Sua unità con Dio: con il Padre lo Spirito Santo. Gesù parlava tanto di questo ma con le parole che mai l’hanno capito. Avevano alcuni presentimenti, intuizioni e paragoni, ma anche questo era tanto lontano per capire l’entità della Santissima Trinità. Anche oggi, dopo duemila anni di sviluppo della teologia, non sappiamo tanto di più su questo tema. È  la cosa diversa conoscere alcune definizioni e dogmi teologici, e l’altra cosa accettare personalmente questo come la verità. E ancora l’altra cosa è vivere quotidianamente queste verità!
Possiamo però, come gli Apostoli, anche avendo i dubbi e non capendo tutto, inchinarsi davanti a Gesù, adorare l’Unico Dio, e accettarLo come Creatore e Dominatore del mondo. Questo e la nostra decisione personale. Non importa se capiamo Dio, importante è che Lo amiamo e accettiamo. La conferma di questa accettazione è prima di tutto il Battesimo ricevuto nel nome della Santissima Trinità, dopo, nella vita adulta, rendere testimonianza, cioè esternare la nostra fede interiore. La coraggiosa testimonianza può essere per noi un segno che Gesù è veramente con noi!

XI Domenica Ordinaria
Anno B

(Mc 4,26-34)

«È il più piccolo di tutti i semi,
ma diventa più grande di tutte le piante dell’orto
»

Secondo i criteri di questo mondo la Chiesa sta sulla posizione perdente. Le verità e le norme che descrivono il Regno di Gesù sono così diverse da quelli ai quali ci ha abituati il mondo, che è difficile accettarli. Per esempio: nel Regno di Dio così poco dipende da noi e così tanto da Dio stesso! Invece noi vorremmo far crescere la Chiesa da soli, senza aspettare la grazia e l’agire di Dio e vorremmo subito vedere i frutti del nostro operato. Il mondo di oggi promuove il successo immediato e per questo richiede dall’uomo un attivismo sfrenato, la fretta e rapacità!
Cristo Gesù ci ricorda che il Regno di Dio ha altre norme. Non si può artificialmente affrettare la maturità dell’uomo, soprattutto nel campo della fede. Tanti processi si svolgono di nascosto, e solo nella preghiera l’uomo riesce a capirli e sperimentare che Dio opera nella sua vita. Ma questo richiede il tempo e la pazienza. Bisogna passare tutte le tappe della crescita spirituale prima di dare un frutto maturo. E questo richiede la fede forte per non dubitare nelle promesse di Dio e poter vedere il senso dei sforzi che a prima vista sembrano inutili.
Ancora è più difficile con la speranza. Tutto quello che facciamo secondo la volontà di Dio, solo alla fine raggiungerà la pienezza. All’inizio dell’opera è difficile vedere il frutto maturo, e solo la speranza nel compimento delle promesse del Dio veritiero ci sostengono nella costanza.
Unico compito dell’uomo nelle parabole di Gesù è il seminare. Nel processo della costruzione e dello sviluppo della Chiesa solo il seminare, cioè evangelizzazione e la proclamazione della Parola, è il compito dell’uomo. Naturalmente quest’immagine è molto semplificata. Nell’agricoltura è così, che il contadino durante la semina, affidando alla terra il semente, non ha nessuna garanzia del raccolto. Non tutto dipende da lui ma dal tempo, dalle piogge, dal terreno. Il raccolto in grande parte è un dono e non solo l’effetto del lavoro dell’uomo.
Certamente, oggi, nell’era della tecnologia ed intensificazione della produzione tanto dipende dai metodi del lavoro e dalla concimazione chimica. Forse questi cambiamenti – se li leggiamo nella luce della parabola – dipingono anche i cambiamenti dell’atteggiamento dell’uomo in confronti con Dio: diventiamo sempre più indipendenti, Dio non ci serve tanto, allora possiamo anche ignorarlo. Ma in questo caso dimentichiamo che l’ultima parola sempre appartiene a Lui: la siccità., la grandine, le alluvioni, questi sono gli elementi che non si sottomettono al controllo umano. Dio decide tutto. Per questo bisogna avere fiducia in Lui!

XIII Domenica Ordinaria
Anno B

(Mc 5,21-43)

«Fanciulla, io ti dico: Àlzati! »

Quando amiamo qualcuno, non abbiamo paura neanche di esporsi e chiedere quello che è impossibile. Il capo della sinagoga non ha difficoltà di prostrarsi e supplicare Gesù: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva».
Quando Gesù si avvia verso la casa di Giairo, arriva uno dei servi con la notizia che nessun genitore vorrebbe mai sentire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Gli occhi di Giairo si sono riempite di lacrime. Ma prima che potesse dire qualcosa, Gesù si rivolge a lui: «Non temere, soltanto abbi fede!».
«Non temere, soltanto abbi fede!» - le parole semplici ma come difficili da compiere. La vita quotidiana non ci risparmia delle sofferenze, tragedie o difficoltà. Quasi tutti noi qui presenti sono tormentati con qualche preoccupazione che disturba la quiete del cuore. Quasi tutti noi abbiamo una croce che ci schiaccia quotidianamente. Forse siamo, come Giairo, preoccupati per la salute di qualcuno che amiamo, forse noi non stiamo troppo bene, forse non abbiamo la pace nella famiglia, abbiamo paura di perdere il posto di lavoro, ci fa paura il futuro incerto…
Come non era facile credere nelle parole di Gesù che la figlia di Giairo era viva, così non è facile credere e avere fiducia quando ci schiaccia il peso delle preoccupazioni, delle sofferenze, della croce.
Ma proprio in questi momenti dovremmo aver fiducia e credere a Dio. Proprio in questi momenti la fede dovrebbe suggerirci che Dio è nostro Padre e può fare anche questo che a noi sembra impossibile. Lui non ci ha dato solo la vita ma anche si prende cura di noi. In ogni battito del nostro cuore possiamo udire le Sue parole piene d’amore: “Ti amo, ti amo, ti amo…”. Proprio in questi momenti dovremmo credere ed avere fiducia che Dio può liberarci dalle nostre preoccupazione e dalle nostre croci, oppure dare la forza per sopportare tutto.
Quando sotto il peso delle sofferenze e preoccupazioni ci viene la tentazione di abbandonare tutto e rinunciare la battaglia, allora dobbiamo mettersi in ginocchio davanti a Gesù e supplicarLo come ha fatto Giairo: “Signore, salva la mia fede che sta morendo!”
Dovremmo prostrarci davanti al tabernacolo e chiedere la grazia della fiducia, che Dio è nostro Padre e desidera solo il nostro bene e la nostra felicità, e che ci ama più di quello che possiamo immaginare!

XIV Domenica Ordinaria
Anno B

(Mc 6,1-6)

«Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria»

Lo scrittore inglese H.G. Wells nel racconto “Il paese dei ciechi” descrive le vicende di un viaggiante che durante un temporale si è perso nelle montagne e si è trovato in una valle sconosciuta. Gli abitanti di questa valle erano tutti ciechi e consideravano questo fatto come una normalità.  Anzi, non riuscivano a capire quello che raccontava il viaggiatore del mondo dei vedenti. Lo consideravano “matto” e hanno deciso di acciecarlo per farlo “normale”, cioè simile a loro.
Il vangelo odierno racconta che Gesù ha vissuto una situazione simile nella propria città, tra i suoi. Già hanno sentito da diverse fonti della fama di Gesù, del Suo insegnamento, dei miracoli compiuti da Lui. Erano testimoni della Sua vita santa tra di loro, ma dubitavano di Lui. Si domandavano con lo stupore: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria».
Gli abitanti di Nazareth non riuscivano a comprendere che qualcuno, simile a loro, qualcuno che con loro ha vissuto e lavorato, poteva essere straordinario!
L’atteggiamento di odio e di non comprensione dei compaesani a deluso tanto Gesù. Per questo ha pronunciato le parole piene di amarezza: “«Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì.”
L’incomprensione e il rifiuto hanno sperimentato anche diversi profeti dell’Antico Testamento. La prova evidente è Ezechiele, del quale abbiamo letto nella prima lettura. Dio stesso gli ha detto: «Figlio dell’uomo, io ti mando ai figli d’Israele, a una razza di ribelli, che si sono rivoltati contro di me. Essi e i loro padri si sono sollevati contro di me fino ad oggi. Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito».
La storia del rifiuto dei profeti – gli uomini che sono mandati da Dio, si ripete continuamente. Anche noi siamo stati mandati nel mondo con la missione simile a quella dei profeti. Anche noi dobbiamo ricordare al mondo di oggi  le verità di Dio, il rispetto della legge stabilità dal Signore. Ma anche oggi non mancano gli uomini “testardi e dal cuore indurito”, allora dobbiamo essere preparati che saremo rifiutati e incompresi. In quei momenti dobbiamo avere in mente le parole di Gesù: “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia.”

XV Domenica Ordinaria
Anno B

(Mc 6,7-13)

«Prese a mandarli»

“Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due”. Ha dato a loro il potere sugli spiriti immondi e ha ordinato di far guarire i malati.
Obbedienti a questo comando del Maestro, gli Apostoli sono partiti e hanno portato i frutti abbondanti. Marco Evangelista, in un altro passo, nota che gli Apostoli erano contenti e orgogliosi della loro missione (Mc 6,30).
Anche noi siamo discepoli di Gesù. Anche noi, nel momento del nostro battesimo, siamo stati chiamati da Cristo all’annuncio del Vangelo. Ma siamo sempre coscienti di questo compito?
Tanti cristiani cattolici sostengono che il compito della proclamazione della Buona Novella spetta solo al papa, ai vescovi e ai sacerdoti. Certamente, tutti loro hanno la responsabilità maggiore dell’evangelizzazione, ma dobbiamo ricordare che noi tutti siamo chiamati a annunciare Gesù nel mondo.
Un uomo nel sogno si è visto in una bellissima chiesa. Con ammirazione guardava l’edificio stupendo. Ma in un certo momento a notato un buco sulla volta. Ha domandato uno che pregava, perché questo orrendo buco nella volta del tempio?
Vedi, rispose quell’uomo, tutti noi credenti componiamo l’edificio della Chiesa. Se qualcuno di noi non vive come si deve, allora questa struttura è difettosa e non finita.
Dopo risveglio, quest’uomo si è convinto che il sogno gli è stato mandato da Dio, perché riuscisse a cambiare la propria vita e sentirsi responsabile della Chiesa.
Anche noi siamo responsabile della Chiesa. Con l’esempio della nostra vita o attiriamo o allontaniamo gli altri da Gesù. Allora proviamo a non criticare e non schifarsi di quello che succede di male in Chiesa, ma facciamo insieme qualcosa di buono e bello.
Noi cristiani forse siamo unica Bibbia che il mondo di oggi legge – ha scritto Helmut Thielickie. Viviamo così sulla terra che il mondo guardando la nostra vita possa lodare Dio che è nei cieli.
Ringraziamo oggi il Signore per il Suo amore per noi e per le parole che ci ricordano che dobbiamo essere i suoi testimoni e apostoli. Apriamo i nostri cuori a Lui che è presente in mezzo a noi e vuole condividere con noi il Suo spirito.

XVIII Domenica Ordinaria
Anno B

(Gv 6,24-35)

«Chi viene a me non avrà fame
e chi crede in me non avrà sete, mai!
»

Il Vangelo odierno ci racconta come gli uomini miracolosamente sfamati cercano Gesù. E quando lo trovano, Gesù sfrutta questa occasione per aprire davanti a loro un'altra dimensione della moltiplicazione dei pani della quale erano testimoni. Dice a loro: “voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. …«Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!»”.
In queste parole Gesù rivela a loro uno dei più grandi misteri dell’esistenza umana. Dice che gli uomini sentono una duplice fame: la fame fisica, corporale, che si può soddisfare con il cibo, ma anche la fame spirituale, che non si placa con il cibo materiale o sensuale. Questa fame spirituale è la fame di Dio che sente ogni uomo!
Di quello che il cuore umano è affamato di Dio, nei diversi momenti ci parla l’Antico Testamento. Nel salmo 143 troviamo le parole: “A te protendo le mie mani, sono davanti a te come terra riarsa.” In un altro salmo possiamo trovare le parole ancora più belle: “Come la cerva desidera i corsi d'acqua, così l'anima mia anela a te, o Dio!”
Dentro l’uomo c’è il desiderio di Dio. Vuole tornare là, da dove è uscito. “Inquieto è il cuore dell’uomo finché non trova riposo in Dio” – ha scritto Sant’Agostino.
È triste e tragico, che l’uomo di oggi prova a sodisfare il desiderio del proprio cuore con qualcos’altro e non con Dio. Tenta di sostituire Dio con le cose materiali o la soddisfazione dei sensi. Ma dopo gli rimane l’amarezza nella bocca, perché il cuore non si riesce a colmare con le piccolezze. Più siamo riempiti dei beni che ci offre la nostra civilizzazione, più sentiamo il vuoto dell’anima e il desiderio di Dio.
Deve far pensare il fatto che più infelici, più disperati, sono quelli che vivono nei paesi ricchi, e sono più ricchi. Sempre li manca qualcosa. Forse perché hanno dimenticato le parole di Gesù: “Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna… «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».
Almeno noi proviamo a ricordare queste parole!

XXI Domenica Ordinaria
Anno B

(Gv 6,60-69)

«Da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna»

Le parole di Gesù: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna” erano troppo difficile da comprendere per i suoi ascoltatori e per questo hanno cominciato a dubitare e dire: “Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?”. Cristo Gesù però non si è tirato indietro, non cercava di cambiare le parole, non spiegava di più per convincere. Guardava solo con la tristezza quelli che si sono allontanati. Con la tristezza guardava anche gli apostoli domandando loro: “Volete andarvene anche voi?”
Non sappiamo che cosa pensavano i discepoli. Forse anche loro avevano i dubbi, forse pensavano cosa rispondere per non offendere il Maestro. Forse aspettavano lo sviluppo degli avvenimenti. Questa domanda ha toccato in modo particolare Pietro. Sicuramente si è ricordato tutto ciò ha vissuto con Gesù. Proprio davanti a questo Gesù, dopo la pesca miracolosa si è prostrato dicendo: “allontanati da me Signore, perché sono un peccatore”. Lo stesso Gesù ha visto camminare sulle onde del Lago. Proprio questo Gesù ha svegliato nel suo cuore tutto ciò che desiderava e a rivelato a lui le profondità dell’amore. Per questo, con grande fede e convinzione ha risposto alla domanda di Gesù: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”.
Anche noi nella nostra vita dobbiamo tante volte scegliere: o andare dietro a Gesù o contro di Lui! Camminare con Lui o abbandonarLo!
Il vangelo odierno sottolinea una verità molto amara, che tanti i suoi seguaci nel momento della prova abbandona Cristo e il Suo Vangelo. Sono tanti cristiani, cattolici che sono attratti dal buddismo, dall’incarnazione, dalle diverse sette religiose. Sono entusiasti dei nuovi movimenti e non riescono a vedere la bellezza del Vangelo.
Quasi ogni giorno ci incontriamo con le pretese, con i dubbi e con le ribellioni dei cattolici contro Dio e contro la Chiesa, sia nelle questioni dogmatiche che morali. Quante volte si può udire le opinioni: perché secondo me… Dio dovrebbe fare così… Perché secondo me, ogni religione è buona… Perché devo ancora confessarmi… Ma la Messa serve a qualcosa?... Non vogliamo più questi vecchi comandamenti!!!
Qualcuno ha detto che attirare alla Chiesa un pagano, un Ebreo o un protestante, è una cosa facilissima, ma far tornare un cattolico stufato della Chiesa è quasi impossibile.
Come agli Apostoli così anche a noi Gesù rivolge la domanda: “Volete andarvene anche voi?”
E cosa rispondiamo??? Cosa rispondo io??? Se abbandoniamo Cristo, dove e a chi andremo? Saremo davvero felici?

XXII Domenica Ordinaria
Anno B

(Mc 7,1-8.14-15.21-23)

«Trascurando il comandamento di Dio,
voi osservate la tradizione degli uomini
»

Oggi Gesù condanna la falsa religiosità dei farisei. La loro falsità e inganno si dimostravano in quello che rispettavano le piccolezze della legge ebraica e nello stesso tempo raggiravano i comandamenti di Dio. Per questo Gesù li rivolge queste dure parole: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. Trascurando il comandamento di Dio, voi  osservate la tradizione degli uomini».
Alla contestazione dei farisei, che i discepoli prendevano il cibo con le mani non lavate, Gesù risponde: “Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro. ... : «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo»”.
In altre parole: Gesù dichiara che non esistono le cose impure. Cattivo e impuro può essere solo l’uomo. Un uomo con il cuore cattivo rende  impura qualsiasi cosa che tocca.
Per non meritare le dure parole di Gesù di oggi guardiamo con attenzione i nostri cuori. Proviamo a vedere che cosa c’è dentro di noi.
Forse anche noi come i farisei pensiamo che la religiosità e vita spirituale consiste solo nel compiere quello che si vede: frequentare la chiesa, preghiera, accostarsi ai sacramenti, rispettare i digiuni… Certamente, tutto questo è importante ma non basta. La cosa più importante è: come compiamo queste pratiche. Durante il nostro incontro con il divino il nostro cuore è colmo di bene o di male? Se abbiamo nel cuore il male, la cattiveria, l’orgoglio esagerato, la mancanza d’amore, allora possiamo moltiplicare le nostre preghiere e possiamo essere certi che non saranno gradite a Dio.
“Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me”. Riflettiamo se per caso queste parole Gesù non rivolge anche a noi, a me!!?? Per caso non abbiamo cambiato l’ordine delle cose stabilite da Dio? Non preferiamo poco importanti pratiche religiose e non comandamenti di Dio?
Guardiamo Cristo Gesù che è presente con noi in quest’Eucaristia ci guarda con l’amore e preghiamoLo che purifichi i nostri cuori dalla falsa religiosità!

XXIV Domenica Ordinaria
Anno B

(Mc 8,27-35)

«Se qualcuno vuol venire dietro a me,
rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.
»

È tanto più facile parlare e scrivere della sofferenza che accettarla quando viene a noi!
Oggi Cristo Gesù mette davanti a noi una delle più grandi esigenze: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».
Accettare la croce nella propria vita non è facile. Per questo dobbiamo aver fiducia in Gesù che ci promette la vita se riusciamo a seguirLo. Come la Su storia non è finita con la morte sulla croce ma con la gloriosa risurrezione, così anche il nostro portare la croce non finirà con il dolore, la sofferenza e la morte, ma con la nostra risurrezione.
L’insegnamento di Gesù sulla rinnegazione di se stessi e sul portare della croce conferma la nostra vita. Tutto quello che è prezioso, nobile e bello, di solito nasce con il prezzo di rinuncia e dolore. Proviamo per esempio vedere la sofferenza di una madre quando fa nascere un figlio. Dopo la nascita dimentica il dolore e la sofferenza perché vive la gioia della nascita del figlio.
Ma proviamo anche vedere gli esempi più comuni. Quante volte i genitori devono rinunciare al sonno per accudire i propri figli. Questo è nient’altro che prendere la croce e seguire Gesù. Faticare quotidianamente per mantenere la famiglia, anche questo è prendere la croce e seguire Gesù. Ogni volta che svolgiamo i nostri doveri e siamo fedeli alla nostra vocazione, questo è prendere la croce e seguire Gesù.
Naturalmente ci sono le croci più leggeri e più pesanti, ma ognuno di noi deve portare la propria senza essere gelosi degli altri. La cosa più importante è di non ribellarsi alla croce, ma per prenderla ci vuole il coraggio e la fede. Quando verrà il momento di portare una croce pesante, proviamo a esprimere il nostro atto della fede e preghiamo Dio con le parole:
O Dio, non so perché mi hai mandato la croce, ma la accetto e Ti seguirò, perché il Tuo Figlio Gesù Cristo ha detto che devo portarla.

XXVII Domenica Ordinaria
Anno B

(Mc 10,2-16)

«L’uomo non divida quello che Dio ha congiunto»

A uno dei famosi predicatori piaceva paragonare la vita matrimoniale alla vita negli ordini religiosi. All’inizio i giovani sposi vivono secondo la regola dei benedettini: devotamente e lavorando con gioia e amicizia. Succede che alcune copie con gli anni cominciano a vivere secondo la regola dell’ordine dei domenicani, cioè l’ordine dei predicatori, e si fanno le prediche dalla mattina alla sera. Gli altri vivono secondo la regola dei carmelitani: nelle loro case fanno tanti digiuni e penitenze. Qualche volta succedono anche gli ordini dei flagellanti. Da quello è molto vicino alla regola dei certosini: ognuno tace e per i giorni non rivolge la parola all’altro. Alla fine rimane solo la regola degli eremiti: ognuno va nella propria solitudine, nella propria direzione.
Questo scherzoso paragone della vita matrimoniale alla vita religiosa non è sottovalutazione dei problemi della vita degli sposi. Come leggiamo nel Vangelo di oggi, anche Gesù ha affrontato questo tema. Quando i farisei volevano metterLo alla prova con la domanda: “se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie”, Lui ha dichiarato l’indissolubilità del matrimonio.
Questa posizione era difficile da accettare anche per gli Apostoli,  ai quali Gesù ha confermato le proprie parole.
La dottrina sull’indissolubilità del matrimonio è difficile da accettare anche nei tempi nostri. Per questo tante persone, anche tra i credenti, criticano la Chiesa c he non va con le tendenze di oggi, che non capisce i problemi dei contemporanei. Oggi sembra che tutto fa congiura contro la solidità del matrimonio. Opinione pubblica, mass-media quasi con una tattica minano e deridono i valori della vita matrimoniale e familiare.
E quali sono i risultati? Tanti trattano il matrimonio non come un sacramento ma come un semplice contratto. Questo consiste nel sfruttamento del corpo dell’altro e del suo portafogli per un asso di tempo. E quando si stufano della vita insieme, e allora…. rimangono solo i cuori e le anime infranti e i bambini infelici.
Dio che ha creato ognuno di noi dall’amore, sa meglio che cosa è necessario alla felicita umana, per questo ha detto: “l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto”. Dobbiamo aver fiducia e credere a Dio! Se Lui ha messo davanti agli sposi una richiesta di questo genere, sicuramente dà anche a loro le forze per mantenere e rispettare le promesse matrimoniali, se loro chiederanno questo con la preghiera unanime e costante!

XXVIII Domenica Ordinaria
Anno B

(Mc 10,17-30)

«Vendi quello che hai e seguimi»

È rimasto triste e deluso l’uomo ricco del Vangelo di oggi. È venuto da Gesù, forse con la speranza che Maestro loderà il suo stile di vita. L’inizio del dialogo con il Salvatore poteva indicare questo. Quando si è messo davanti a Cristo i ha domandato: “«Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”» . Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza»”. Fino a questo momento tutto proseguiva secondo il pensiero del ricco. Gesù però non ha finito, perché come racconta l’evangelista: “Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.”
Gesù sfrutta il momento dell’allontanamento del giovane per insegnare i suoi discepoli sul pericolo che può portare la ricchezza materiale. Dice: “«Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!»… «È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio»”. Queste parole dovevano sorprendere e sconcertare i discepoli perché hanno cominciato a discutere tra di loro: allora chi può salvarsi?
Penso che queste parole di Gesù sono anche difficili da comprendere a noi. Perciò non sarà sbagliato se ci soffermiamo un momento per riflettere su di esse: che cosa voleva insegnarci il nostro Maestro?
Prima cosa: per essere vero cristiano non basta rispettare solo i comandamenti. Dal vero cristiano Gesù aspetta qualcosa di più! La nostra vocazione non è solo rispettare i comandamenti ma anche seguire ed imitare il Salvatore, costruire il Regno di Dio sulla terra che Lui ha iniziato. Questa vocazione di costruire il Regno di Dio ognuno di noi deve compiere senza domandare il prezzo, perché niente dove fermarci sulla strada verso il cielo!
Come leggiamo nel Vangelo e come sperimentiamo nella vita, i valori materiali possono essere l’ostacolo sulla strada verso Dio. Cristo Gesù ci ammonisce dall’uso sbagliato delle ricchezze. Stiamo attenti: Gesù non condanna le ricchezze in  se stesse ma solo uso sbagliato. Non il dollaro o euro e condannato, ma il cuore che si è incollato alla moneta. Il pericolo delle ricchezze è così grande che può chiudere il cuore umano alle necessità degli altri.
Una volta, uno dei più ricchi della terra, John Rockefeller, ha detto al suo amico: “Sai chi è più povero sulla terra? Quello che non ha niente eccetto i soldi!”
Nella luce del Vangelo di oggi proviamo a esaminare il nostro rapporto con quello che possediamo. Domandiamoci se per caso non siamo gli schiavi di quello che abbiamo accumulato. Siamo legati con ogni spicciolo o riusciamo condividere il nostro poco con i più bisognosi? Ricordiamo che il cielo si può conquistare solo con le ricchezze che abbiamo offerto agli altri?  

XXX Domenica Ordinaria
Anno B

(Mc 10,46-52)

«Rabbunì, che io veda di nuovo! »

«Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».
Per incontrare Gesù qui sulla terra e in futuro nel cielo, anche noi, come Bartimeo dobbiamo vederlo con gli occhi della nostra fede. Cioè prima dobbiamo credere in quello che leggiamo nella Sacra Scrittura. Credere in quello che sentiamo di Lui in Chiesa. Credere che Lui è unico Messia e nostro Salvatore!
Descrivendo la figura del Bartimeo, san Marco ha usato le parole: cieco e mendicante. Allora un uomo doppiamente sfortunato. Disgraziato non solo perché non vedeva, ma anche era costretto tendere la mano chiedendo l’elemosina. È difficile immaginare come era infelice e umiliato.
Allora quando è arrivata un’occasione di liberarsi da queste povertà, Bartimeo vuole acchiappare quel momento. Mette nel suo grido tutto il dolore ed umiliazione: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Questo grido doveva essere tanto emozionante e penetrante, perché ha colpito anche quelli che erano vicino a Gesù. Come scrive san Marco: “Molti lo rimproveravano perché tacesse”. Ma lui ancora più forte gridava: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Come a Bartimeo, anche a noi la vita non risparmia le disgrazie e le umiliazioni. Quante volte ci sentiamo poveri, ciechi spiritualmente, umiliati con i nostri peccati. Dovremmo in questi momenti gridare: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».
Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!, dovrebbe gridare l’uomo che non riesce a vedere i valori spirituali. Quello che vede solo i soldi i oltre quelli non vede nulla.
Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!, dovrebbe gridare l’uomo imprigionato dai diversi vizi: l’alcolismo, la droga, il sesso…
Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di noi!, dovremmo gridare quando ci opprimono le tentazioni, quando ci mangia l’orgoglio o l’odio, quando non riusciamo a fare niente di buono e critichiamo gli altri che almeno tentano di essere buoni.
Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di noi! Liberaci dalla cecità spirituale!
Cristo Gesù che ci ama ed è presente con noi nell’Eucaristia che stiamo celebrando può sanarci dalle nostre cecità. Può liberarci dai nostri vizi e peccati. Allora apriamo con fede i nostri cuori alla Sua grazia.

XXXI Domenica Ordinaria
Anno B

(Mc 12,28-34)

«Amerai il Signore tuo Dio. Amerai il prossimo tuo»

Lo scriba del quale racconta il Vangelo di oggi aveva grande difficoltà, si sentiva perso nella giungla dei comandamenti e delle leggi degli Ebrei. Per questo “si avvicinò a Gesù e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?»”. Riascoltiamo ancora una volta la risposta di Gesù: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».
Proviamo a notare che Gesù nella sua risposta è andato più in là della domanda. Lo scriba domandava solo un comandamento, invece Gesù gli ha proposto due: l’amore di Dio e l’amore del prossimo. Con questo voleva insegnarci che questi due comandamenti sono inseparabili. Non si può amare Dio senza amare il prossimo e anche non si può amare veramente il prossimo senza amare Dio. San Giovanni Evangelista questo argomento descrive in questo modo: “Se uno dice: «Io amo Dio» e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede”.
Gesù ha legato questi due comandamenti ancora più forte quando ha detto: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me». In altre parole: il nostro amore verso Dio si verifica con l’amore verso i nostri fratelli. Qualsiasi cosa facciamo a loro, lo stesso facciamo a Dio.
Proviamo allora ad osservare questi due comandamenti imitando Gesù stesso nell’amore. Amiamo Dio e i nostri fratelli con l’amore che si dona, con l’amore che riesce a soffrire per gli altri, con l’amore che unisce e dura per l’eternità!
Come conclusione e prolungamento della nostra riflessione, proviamo ancora oggi nelle nostre case rileggere l’inno d’amore di San Paolo:
Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita.
E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla.
E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe.
La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d'orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
La carità non avrà mai fine.

XXXII Domenica Ordinaria
Anno B

(Mc 12,38-44)

«Questa vedova, nella sua povertà,
ha dato tutto quello che aveva
»

Gesù osserva quelli che fanno l’elemosina nel tempio. “Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo”. Questo permette al Maestro di dare una nuova lezione ai discepoli: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».
Sicuramente nessuno, eccetto Gesù, guardava questa donna con la meraviglia. Invece solo lei è stata lodata da Lui. Il nostro sguardo sulle persone e sulle cose è tanto diverso da quello di Dio. Noi di solito guardiamo solo l’esterno, le apparenze. Ci piacciono le opere grandi, i grandi doni… invece Dio guarda il cuore. Sull’esempio della povera vedova Cristo Gesù ci insegna che il dono anche piccolo ma fatto con il cuore e sincerità vale tanto di più!
Oggi proviamo a domandarci: sappiamo dare a Dio e al prossimo qualcosa di noi stessi? O solo abbiamo imparato a ricevere? È triste ma purtroppo è vero che tanti hanno dimenticato la massima di san Paolo che ha detto: «Si è più beati nel dare che nel ricevere!».
Dobbiamo però ricordare di non limitare il nostro dare solo alle cose materiali. Non meno importante è saper condividere le cose spirituali. Probabilmente di questo pensava Nicola Gogol quando ha detto: Mai siamo così poveri per non poter dare aiuto al nostro prossimo”!
Invece Francis Balfour ha espresso questo concetto così: “il più bel regalo per il nostro nemico è il perdono; per l’amico – la fedeltà; per un bambino – un buon esempio; per  il padre – l’onore dei figli; per la madre – il nostro cuore; per il vicino – la nostra mano d’aiuto!
Concludiamo la nostra riflessione con le parole di Gesù dal Vangelo di San Luca:
“Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio”.

XXXIV Domenica Ordinaria
Cristo Re dell'Universo

Anno B

(Gv 18,33-37)

«Tu lo dici: io sono re.»

Oggi, nell’ultima domenica dell’anno liturgico, festeggiamo Cristo Re. Anche se non portava la corona d’oro ma quella delle spine; anche se  non sedeva sul trono ma era appeso sulla croce; anche se non aveva gli eserciti come tutti i re della terra, solo Lui è il Re dell’Universo.
Nel tempo molto particolare, quando le nazioni e i popoli detronizzavano i re, gli imperatori e gli zar, il papa Pio XI con l’Enciclica “Quas primas” dell’11 dicembre 1925 istituiva per tutta la Chiesa Cattolica la Solennità di Cristo Re dell’Universo. Istituendo questa solennità, il Papa voleva ricordare a tutto il mondo che Cristo è l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine di tutto, e voleva sottolineare la differenza del regno di Cristo da tutti i regni della terra. Il Regno di Cristo non si basa sulla forza degli eserciti, ma sull’ordine di Dio, sulla verità, sulla giustizia e soprattutto sull’amore.
Alla domanda di Pilato: «Sei tu il re dei Giudei?» - Gesù risponde nel Vangelo di oggi: «Io sono re» ma subito aggiunge: «Il mio regno non è di questo mondo… Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità».
Allora Cristo Gesù non è solo il Re dei Giudei, come ha ordinato scrivere Pilato sulla croce, ma è il Re di tutto il mondo, di tutte le genti. Questo titolo Gli spetta per tutto quello che ha fatto per l’uomo: ha salvato il mondo dal peccato e dalla morte eterna. Ci ha fatti i suoi fratelli e insieme con Lui possiamo regnare in eterno.
Recitando il “Padre nostro”, ogni giorno preghiamo: “venga il tuo regno”. Ma davvero facciamo tutto che possiamo perché Gesù possa agire attraverso il nostro essere?
Domandiamoci sinceramente: come costruiamo il Suo Regno nel mondo di oggi? Sappiamo come Lui saziare gli affamati, chinarsi sui malati e bisognosi, confortare i tristi e i sofferenti, portare la speranza ai persi e disperati?
Partecipando nella liturgia odierna diamo gloria al Cristo Re dell’Universo e siamo certi che Lui benedirà tutti i nostri sforzi nella costruzione del Suo Regno!  

 

 

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