Domeniche del tempo ordinario

anno A (2011)

Indice:

II domenica ordinaria
III domenica ordinaria
IV domenica ordinaria
V domenica ordinaria
VI domenica ordinaria
VII domenica ordinaria
VIII domenica ordinaria
IX domenica ordinaria
XIV domenica ordinaria
XV domenica ordinaria
XVI domenica ordinaria
XVII domenica ordinaria
XX domenica ordinaria
XXI domenica ordinaria
XXII domenica ordinaria
XXIII domenica ordinaria
XXIV domenica ordinaria
XXV domenica ordinaria
XXVI domenica ordinaria
XXVII domenica ordinaria
XXVIII domenica ordinaria
XXIX domenica ordinaria
XXX domenica ordinaria
XXX domenica ordinaria
XXXII domenica ordinaria
XXXIII domenica ordinaria
Domenica di Cristo Re dell'Universo

II Domenica del Tempo Ordinario

Perché le chiese e le comunità cristiane cominciano in questi giorni la “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani”? Perché quasi tutti i cristiani desiderano adesso l’unità nel campo della loro attività?
            L’unità della Chiesa di cristo appartiene al Suo segno essenziale: “Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica” come preghiamo nella nostra professione di fede. Il Cristo Signore ha istituito UNA CHIESA. Nella preghiera, durante l’Ultima Cena, ha pregato sopratutto per la santità e l’unità della Chiesa. “Non prego solo per questi, ma anche per coloro che, per la loro parola, crederanno in me;perché tutti siano una sola cosa”.
            Come la santità dei cristiani è un segno dell’azione della grazia di salvezza nella Chiesa, così la loro unità è un’espressione di amore ed un esempio per il mondo: “perché il mondo creda che Tu mi hai mandato”.
            La mappa del mondo religioso di oggi avrebbe avuto un aspetto diverso se i cristiani, durante i secoli, non avessero dissipato le loro forze per le controversie interne, le divisioni e persino le lotte, ma le avessero usate per la propagazione del Regno di Dio.
            La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani è un contributo spirituale per l’opera dell’unione. Perché ogni opera di Dio esige la nostra unione con Lui; invece l’unità della Chiesa deriva dall’unità della Santissima Trinità: “Come tu, Padre, sei in me e io in Te, siano anch’essi in noi una cosa sola”.
            La conciliazione e l’unità dei cristiani è possibile oggi? Certamente ciò non è una cosa facile, ma possibile. Eppure le chiese e le comunità cristiane hanno conservato, nella maggior parte, gli elementi essenziali dell’eredità di Cristo. A questi appartiene al primo posto, la fede in Cristo e nella Sua opera di salvezza, un segno della quale è il Battesimo. Questa fede si basa sulla rivelazione di Dio, cioè sulla Bibbia. Ma si basa anche sulla vita nella grazia, sulla speranza, sull’amore e su altri doni dello Spirito Santo.
            Allora, cosa possiamo fare per l’unità della Chiesa di Cristo?

            Il nostro impegno è:

Il Papa Giovanni Paolo II, una volta, in un suo discorso ecumenico, ha detto che ogni anno Cristo dovrebbe trovare i cristiani più uniti nell’Unica Chiesa. Preghiamo per questo, non solo oggi, non solo durante questa settimana, ma sempre e ovunque.

III Domenica del Tempo Ordinario
anno A

(Mt 4,12-23)

«Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino»

«Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».
Questo regno preannunciato dai profeti, ormai non è solo un sogno, ma è la realtà, non futura ma attuale. Però, per appartenere a questo regno, per vedere il Re e la Luce di questo regno, bisogna convertirsi. Bisogna cambiare il proprio atteggiamento spirituale, il modo di pensare e di guardare, bisogna cambiare il proprio comportamento e la vita.
I primi che hanno udito questa chiamata e che “lo seguirono” erano gli Apostoli – i pescatori di Galilea. Cristo ha scelto loro per confondere i grandi di questo mondo. Ha scelto i poveri per arricchire il mondo. Ha scelto i deboli ed i modesti per conquistare il mondo. Ha scelto i non-scienziati ed i semplici per proclamare la Sua sapienza ed essere le fiaccole della Sua luce.
 Comunque, non subito, erano diventati “la luce del mondo”, avevano dovuto stare tanto tempo con Gesù per vedere e capire “la Luce del mondo”. Dovevano aspettare il miracolo di Pentecoste, per cambiare se stessi e convertirsi totalmente.
La chiamata alla conversione riguarda anche noi. Anche a noi si riferisce la verità che Cristo è “la luce del mondo”. Come la luce del sole è necessaria per la vita quotidiana, così occorre la luce spirituale per la vita dell’anima. Grazie a Cristo abbiamo questa luce. Grazie a Lui conosciamo lo scopo della nostra vita e la strada per questo scopo. Sappiamo il senso della vita, del lavoro, della preghiera, della sofferenza e della morte. Sappiamo la strada e gli espedienti necessari per la via verso il Padre.

Preghiamo oggi Cristo, perché ci dia la grazia e la forza per convertirci, perché il regno dei cieli si avvicina anche per noi.

IV Domenica del Tempo Ordinario
anno A

(Mt 5,1-12a)

«Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli»

La divisione tra poveri e ricchi, affamati e saziati, piangenti e sorridenti, privilegiati e oppressi, afflitti e felici – questa è forse la più vecchia e la più comune divisione. Dall’inizio di questa divisione esiste la tendenza fissa e l’aspirazione per fare il passaggio da un gruppo all’altro. L’uomo vuole essere felice e beato. Ognuno prova a realizzare questi desideri in diversi modi: con evoluzione o rivoluzione, con il lavoro quieto o con il brigantaggio, contando solo su se stesso o sfruttando le convenzioni e le strutture sociali o politiche. E così approfondisca la propria situazione infelice.
Quella suddetta situazione è anche della partecipazione di ogni cristiano, ma il cristiano non dovrebbe contare solo su se stesso ed essere nervoso e turbolente – perché il cristiano ha la speranza. Nelle situazioni quando gli altri cadono in preda al panico e si perdono nella disperazione, il cristiano mantiene l’equilibrio dello spirito, perché sa che sarà consolato, saziato con la giustizia, erediterà la terra, troverà la misericordia, riceverà la ricompensa – il regno dei cieli, vedrà Dio e sarà chiamato figlio di Dio. Benché queste sono solo le promesse ma sappiamo bene che queste beatitudini talvolta hanno ripristinato la serenità, quando eravamo poveri, afflitti, quando avevamo fame e sete della giustizia.
Ma non solo la speranza è la forza del cristiano. È qualcosa di più, è la scelta particolare fatta da Dio, la vocazione – come ha detto san Paolo nella Lettera ai Corinzi.
Però sembra che la liturgia di oggi voglia dirci qualcosa di più delle fonti della forza del cristiano, quando ci chiama con le parole di profeta Sofonia, per cercare il Signore in modo dinamico, per cercare riparo nel nome del Signore.

La ricerca dinamica del Signore ci ha ricondotto qui alla chiesa, ci ha raccolto davanti all’altare. Lui è nella Parola che leggiamo e proclamiamo. Lui è tra noi e viene per aiutarci. Soprattutto noi abbiamo bisogno di Lui. Cristo per noi diventa la sapienza nella parola, la giustizia nel perdono, la santificazione e la salvezza nel mistero, del quale fra poco saremo testimoni.

V Domenica del Tempo Ordinario
anno A

(Mt 5,13-16)

«Voi siete la luce del mondo»

La domenica scorsa abbiamo udito le otto beatitudini – “il codice della perfezione”; questo è il messaggio, è la chiamata. Ma come questo deve essere vissuto in pratica, nella vita?
“Voi siete il sale della terra”. Già nel Antico Testamento il sale era un simbolo del popolo eletto. Anche Cristo Gesù si è servito di questo paragone, precisando il ruolo dei suoi discepoli nel mondo. Il sale dà il proprio sapore al cibo, pulisce e conserva, guarisce ed è necessario all’organismo.
Un simile ruolo deve realizzare ognuno di noi. Con la propria vita ed il comportamento deve dare “sapore” e creare un’atmosfera della bontà e della verità, dell’amore e della pace. Dall’esperienza sappiamo che un uomo con il suo comportamento, l’umore e con la parola può migliorare o rovinare l’atmosfera di tutta la compagna, sia nel lavoro sia nel gioco.
“Voi siete la luce del mondo”.
Gli Israeliti chiamavano spesso la Legge ed il Tempio di Gerusalemme la luce del mondo. La luce splenda da se stessa. Non si può nasconderla. Si può stringere o allargare il suo raggio d’azione. La luce riscalda, attira, conduce, indica la strada. La luce dà la vita e porta la gioia.
“Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli”.
La luce non è solo Cristo ma anche ogni cristiano. La candela accesa non diminuisce la luce di quella, dalla quale è stata accesa, anzi la moltiplica e prolunga. Noi dobbiamo essere “un prolungamento” di Gesù e della Sua luce. Dobbiamo con la nostra vita attirare e non allontanare, incoraggiare e non scoraggiare a Cristo.
Allora Dio ed il mondo ci aspetta. Aspetta non i gesti grandi e straordinari, ma aspetta il comportamento normale e quotidiano, semplice e naturale. Oggi agli uomini non piace tutto ciò che è artificiale o grandioso. Loro cercano la normalità e la semplicità dappertutto, e anche nella santità. Cercano la gentilezza semplice e sincera.
Questa è un dono di Dio, quale ognuno può dare agli altri. La gentilezza e bontà aprono le porte dei cuori e degli intelletti, rivelano la bellezza e la gioia, il bene e l’amore, e conducono in alto, alla Luce del mondo, a Cristo Signore.

VI Domenica del Tempo Ordinario
anno A

(Mt 5,17-37)

«...non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento.»

Cristo Gesù non voleva i credenti a metà. Non approvava le apparenze, condannava il fariseismo. Ha attaccato il formalismo esteriore senza la sostanza interiore. Questo atteggiamento del Maestro di Nazareth non piaceva ai capi spirituali d’Israele e destava perplessità tra le folle. Loro consideravano la Legge del Vecchio Testamento l’ultima Rivelazione di Dio. A questa Legge si richiamavano i profeti e pensavano che Gesù volesse distruggere questo.
Il Salvatore questo spiega chiaramente: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento.” È venuto sul mondo per compiere le profezie che riguardano il Messia e per perfezionare ciò che era imperfetto. Si è mostrato anche per portare fino alla fine la Rivelazione di Dio. La Legge e i Profeti, cioè tutto l’Antico Testamento dovevano essere ed erano la preparazione e l’ombra della Nuova Alleanza fra Dio e gli uomini. Allora il crepuscolo deve fare posto alla Luce, la figura e l’annunzio alla realtà. Però prima che questo si compie sulla Sua Persona, “non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge”.
Ma nel Regno di Cristo non basteranno le lavate esteriori, i digiuni e le preghiere. È necessario qualcosa di più. È necessaria la giustizia e la santità interiori. Anche non basta l’osservanza negativa dei comandamenti collegata col minimalismo religioso; è necessario il massimalismo spirituale.
La essenza della perfezione consiste soprattutto nell’atteggiamento interiore dello spirito. La predisposizione interiore dello spirito, le buone intenzioni, determinano la santità e non osservare le prescrizioni esteriormente, meccanicamente e senza anima. Gesù prende in considerazione i tre comandamenti: quinto, sesto e ottavo – l’omicidio, l’adulterio ed il giuramento. Però con questi comprende tutti gli altri. Allarga anche la portata dei comandamenti. Non solo l’omicidio è un peccato ma anche l’ira; non solo l’adulterio ma anche il desiderio di farlo; non solo il falso giuramento ma anche gli insulti detti al prossimo.
Questa concezione, benché logica, non piaceva ai farisei. Spesso non piace anche a noi, perché ci basta il minimalismo.
Ma se vogliamo essere i veri seguaci di Cristo, se vogliamo appartenere al Suo Regno e ricevere la vita eterna, dobbiamo rivolgere l’attenzione sulla sostanza e non solo sulla forma. “se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli” – questo è la condizione indispensabile. Allora dobbiamo non solo fare bene ma anche parlare e pensare bene. Questo non è facile, ma possibile.

VII Domenica del Tempo Ordinario
anno A

(Mt 5,38-48)

Amate i vostri nemici.

La liturgia di oggi ci fa meditare sull’ultimo brano del Discorso di Gesù sulla montagna.
Cristo ha indicato il Suo “Codice della perfezione”; ha rivolto l’attenzione sul fondamento della giustizia e della santità – sulla sostanza interiore e non sulla forma esteriore. In seguito tocca il punto essenziale – l’amore del prossimo. Il prossimo non è solo il fratello, la sorella, il compaesano, ma ogni uomo senza eccezione. Il Salvatore va più avanti – fino all’amore dei nemici. Con un’antitesi sottolinea l’importanza di questo comandamento. “Avete inteso che fu detto: «Occhio per occhio e dente per dente». Ma io vi dico di non opporvi al malvagio”. La vendetta e la giustizia spettano a Dio. “Avete inteso che fu detto: «Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico». Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano”.
Quale è il motivo di questo amore? “Affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli”. Solamente Dio, Colui che è unico modello della nostra santità e della nostra perfezione, è il modello di questo comportamento da parte nostra. Anche Lui sarà il nostro premio. Il grande premio richiede grandi sacrifici,
Allora, perdona, benché non è facile ed il cuore ti fa male; benché ti sdegni e con il ricordo dei torti fisici o morali il tuo cuore si spezza, benché il tuo nemico – il tuo prossimo – non vuole la pace ed ancora ha l’odio nel suo cuore.
Anche in quel momento “benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite”. Perché il tuo nemico è anche il tuo prossimo.
E il prossimo, quello è il tuo quotidiano, la tua ostia quotidiana. Il tuo prossimo si chiama Gesù Cristo.

VIII Domenica del Tempo Ordinario anno A

(Mt 6,24-34)

"Non potete servire Dio e la ricchezza"

“Non potete servire Dio e la ricchezza.”

L’uomo dovrebbe servire solo Dio. Solo Lui è degno di onore e dedizione totale da parte dell’uomo. Se nessun uomo al mondo ha ancora diritto a questo omaggio, allora tanto più non hanno questo diritto i beni materiali. Essi possono essere solo un mezzo allo scopo. Questi sono valori che si cambiano e passano, mutano e si svalutano anche qui sulla terra.
Però alcuni valori non cambiano perché Dio non cambia. Non cambierà neanche la verità che l’uomo è solo una creatura e Dio è il Creatore. Se si tratta di diversi beni creati, anche qui c’è l’ordine gerarchico. “la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?” Cristo Gesù non condanna i valori materiali, non propaga la miseria, ma dice chiaramente che la materia creata non può sostituire il Creatore. Valori contrastanti non si possono mettere sullo stesso piano. San Paolo spiega queste cose nella Lettera ai Corinzi: “Tutto è vostro, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio”. A noi appartiene la terra e le sue ricchezze, la scienza e l’arte, la tecnica ed il progresso, ma noi apparteniamo a Cristo e Cristo a Dio.
Questa gerarchia di valori riguarda non solo il nostro rapporto con il mondo materiale ma anche con noi stessi. È più importante l’anima che il corpo, l’intelletto che i sensi. I poteri minori devono essere subordinati a quelli maggiori ed i maggiori a Dio. Allora gerarchia dei valori si unisce anche la gerarchia dei doveri. Primo ed elementare dovere è la salvezza: “Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.”
Certo! Se l’umanità appoggiasse le sue aspirazioni sulla giustizia e sull’amore, lo spettro della guerra e della fame non sarebbe sospeso sul mondo. Perché i soldi spesi per le armi potrebbero riempire di pane tutta la terra. La “mammona” ci ha tradito e si è girata contro di noi.
Preghiamo oggi il Signore perché ci dia la grazia di capire perché servono i beni materiali e perché possiamo bene disporre di essi e non serviamo ad essi.

IX Domenica del Tempo Ordinario
anno A

(Mt 7,21-27)

«Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli»

La Parola di Dio oggi ci indica come possiamo convincerci sulla sua potenza e efficacia.
Questo brano evangelico possiamo dividere in due parti: nella prima Gesù afferma che non farà  nessuna distinzione fra gli uomini. Non saremo salvati perché abbiamo detto: “Signore, Signore!”. Non basta essere ascoltatori della Parola di Dio. Nella seconda parte Gesù ci dice che noi possiamo reagire in due modi diversi alla Sua Parola: metterla in pratica o no.
La nostra fede si deve esprimere nella vita concreta e non solo nelle parole e idee. La fede non espressa con la vita molto presto muore e in rari casi rimangono solo le “formulette” o cosi dette “preghierine”.
È vero che solo in futuro scopriremo pienamente se abbiamo vissuto nella fede, se questa ha impregnato la nostra vita. Conosceremo questo vedendo i frutti che daremo. Ma già oggi dobbiamo domandarci: che cosa abbiamo ottenuto fin’ora? Questo ci permette di pensare che siamo sulla strada giusta? Siamo contenti delle nostre conquiste? E Dio è contento di questo?
Preghiamo perché il nostro incontro odierno con il Signore ci dia la luce della quale abbiamo così bisogno.

XIV Domenica Ordinaria
Anno A

(Mt 11,25-30)

«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi,
e io vi darò ristoro.»

Quale forza magnetica doveva avere Cristo Gesù quando parlava ed insegnava, quando portava via le folle. Eppure le Sue parole non erano una bella pubblicità, non adulavano né passioni umane né l’amore egoistico. Le Sue parole erano piene di grandi esigenze e sacrifici. Gesù esigeva l’abnegazione di se stesso e così riusciva ad arrivare ai cuori degli ascoltatori.
E perciò il Salvatore ringrazia il Padre e Lo adora: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli». Gli uomini semplici e sinceri, umili benché peccatori, erano sempre un buon terreno per i semi della dottrina di Cristo. Questi Lo seguivano.
Anche noi dobbiamo udire le Sue parole: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro». Questo è l’eterno appello  di Gesù. Questo appello non era indirizzato solo alle folle che Lo seguivano ma anche a noi che siamo oppressi dalle fatiche e dai doveri della vita. Cristo ci offre il Suo giogo. «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero». Il Suo giogo – questo è il giogo dell’amore. Un tale giogo e un tale carico possono prenderlo tutti e sotto di essi non ci si piegherà.
Allora anche noi dobbiamo rispondere a questo appello del nostro Salvatore perché solo così possiamo essere pienamente felici.

XV Domenica Ordinaria
Anno A

(Mt 13,1-23)

«Ecco, il seminatore uscì a seminare.»

La parabola del seminatore, che abbiamo appena udita, è forse la parabola più semplice e comprensibile, tanto più che Gesù, da solo, ha spiegato il significato di essa.
Il seminatore è Dio, il seme è la Sua parola ed il terreno, sono le anime umane. Dalla qualità del terreno, dalla sua preparazione dipendono la crescita e il frutto.
A quale categoria del terreno appartengono i cuori e le anime dei cristiani di oggi? È difficile dirlo. Perché il cristiano medio durante un anno ascolta alcune decine di prediche. Nella sua vita qualche migliaia. E … l’effetto? La maggior parte, subito dopo l’omelia, non sa di che cosa si trattava. La maggior parte ascolta per ascoltare, ma la Parola di Dio rimbalza da loro, e se la ricevono, allora al massimo ricordano solamente qualche frammento, spesso non essenziale. Per la propria giustificazione hanno mille scuse, che il prete o la predica non sono “al loro livello”, “annoiano”, “addormentano”, ecc…

Però gli stessi uomini ricordano alcune prediche, che sono rimaste nella loro mente, che hanno prodotto una grande impressione. Perché? Perché allora hanno ascoltato diversamente. La stessa cosa può avere un valore diverso per uomini diversi ed in circostanze diverse. Ciò dipende solo dall’atteggiamento dell’uomo. Tutti noi dobbiamo riesaminare il nostro atteggiamento di fronte alla Parola di Dio, alla verità, al Vangelo, a Cristo Signore. La Parola di Dio bisogna trattarla diversamente dalla parola umana che esce dalla bocca di un attore benché sia un maestro della parola.

XVI Domenica Ordinaria
Anno A (Mt 13,24-43)

«Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura»

Quasi tutti, spesso ci domandiamo: perché esiste il male? Questa domanda la facevano tutte le generazioni umane. Si domandavano i cristiani: perché c’è tanto male nella Chiesa? Perché anche le più belle opere, le istituzioni, le imprese sono collegate col male, con la sofferenza, con l’ingiustizia, con l’odio o la gelosia? Perché Dio permette questo? Perché non punisce e non stermina il male?
Ci deve bastare la risposta di Gesù che abbiamo udita nel Vangelo di oggi: «Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura». Lasciamo a Dio essere Dio. «perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano». Sarebbe possibile dividere precisamente l’erbaccia dal grano? No, perché in ogni uomo c’è l’erbaccia e il grano, il male e il bene. Nessun uomo, fino a quando vive sulla terra è né la bontà né la viltà incarnata.
Il bene e il male mischiati, per noi sono un’occasione qui sula terra. Sono l’occasione per la crescita nella fede e nell’amore, nello sviluppo del Regno di Dio in noi accanto gli ostacoli e le difficoltà. Non possiamo mai dimenticare che non  il male ma il bene vince alla fine. Non satana ma Cristo Gesù prende la vittoria. Non il mondo ma il cielo, non il tempo ma l’eternità ha l’ultima parola.

XVII Domenica Ordinaria
Anno A

(Mt 13,44-52)

«... trovata una perla di grande valore,
va, vende tutti i suoi averi e la compra.»

Il Salvatore ha preso tre paragoni dalla vita di quei tempi per definire il Regno dei Cieli. Li conosciamo dal Vangelo di oggi. Il tesoro nascosto in campo, una bella perla di grande valore ed una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. L’ultimo paragone ci ricorda l’erbaccia che cresce tra il grano. Questa è un monito per questi cristiani che si trovano nella rete di Gesù, nella Chiesa, ma non apprezzano il valore e l’importanza di questo tesoro.
PerlaRiflettiamo, che cos’è questo tesoro?
Per noi che valore presenta il Regno dei Cieli? Lo comprendiamo come il più grande tesoro? Siamo pronti, come il mercante della parabola a sacrificare tutto per conquistarlo? Che cosa sono per noi i valori che non passano, che ci ha portato Cristo e quali ci da la Chiesa? Come li apprezziamo? Quanto tempo e quanta fatica dedichiamo per essa?

Le domande mi sembrano importanti e sostanziali. Perché dal valore del tesoro cercato dipende il senso della vita, la felicità, l’eternità. Perché il Regni dei Cieli non è una raccolta di bei racconti per i bambini, non è una raccolta di preghierine o pratiche “assicuranti” per il futuro, non è una “aggiunta” domenicale alla nostra vita quotidiana. Il Regno dei Cieli è la vita, è Dio solamente!

XX Domenica Ordinaria
Anno A

(Mt 15,21-28)

«Donna, grande è la tua fede! »

La donna cananea del Vangelo di oggi, sotto l’aspetto della fede, per noi cristiani fa vergognare. Benché Gesù ha limitato la Sua missione agli israeliti, però in questo caso ha fatto un eccezione. Ha fatto quest’eccezione per indicare agli ebrei un vero fondamento del nuovo Israele. Questo fondamento è la fede.
La fede così aveva il Centurione da Cafarnao. La fede così avevano ed hanno gli altri. La fede vera e profonda è una base della salvezza.

Preghiamo il Signore perché ci dia questa fede e facciamo il tutto per svilupparla in noi ogni giorno.

 

XXI Domenica Ordinaria
Anno A

(Mt 16,13-20)

«...tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa...»

Oggi forse ci viene una domanda: Perché Pietro è stato scelto come la “Pietra della Chiesa”? Perché non giovani innocenti, Giacomo o Andrea silenzioso, ma Simone pauroso? Questa pietra non è troppo fragile?
Primato PietrinoDal punto di vista umano e tanto debole, fragile, ma la forza di questa Pietra è proprio la fede in Cristo e non in se stesso. Pietro senza Gesù può essere solo un piccolo e povero pescatore. La pietra vera, benché non visibile, sarà Lui – il Messia. Lui era ieri, è oggi e sarà sempre.

Possono avere paura e spaventarsi Pietro e i suoi successori insieme con i fedeli, ma la Pietra vera – Cristo Gesù non temerà mai, e questo per noi è l’unica garanzia, che la Sua Barca – la Chiesa non affonderà mai!

XXII Domenica Ordinaria
Anno A

(Mt 16,21-27)

«Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso»

Non ci meravigliamo di Pietro, che riteneva la croce come male ed aveva una falsa visione della salvezza. Dobbiamo piuttosto meravigliarci di noi stessi perché dopo venti secoli di cristianesimo pensiamo lo stesso!!! La nostra visione della salvezza è diversa da quella di Cristo Gesù. È difficile credere che la croce è nel centro della salvezza. Ma il Calvario, non il Monte Tabor o la Montagna delle Beatitudini, era lo scopo principale della vita terrena di Gesù.
La croce deve anche essere il centro della nostra vita e della nostra salvezza. Qui, nel mondo, non esiste valore più grande della salvezza. Non esiste neanche il prezzo adeguato per riceverla. Neanche le sofferenze e portare la propria croce per tutta la vita non possono uguagliarsi con questo compenso. Ma contemporaneamente questo è l’unico prezzo che possiamo offrire. Invece mettere in salvo la vita terrena o la felicità presunta a prezzo della croce e della salvezza può risultare molto pericoloso. Perché “che cosa l’uomo potrà dare in cambio della propria l’anima?”.

Allora, oggi, preghiamo Gesù perché ci dia la grazia di capire bene la vera visione della nostra salvezza.

XXIII Domenica Ordinaria
Anno A

(Mt 18,15-20)

«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te,
va’ e ammoniscilo fra te e lui solo»

Gli uomini di oggi sono troppo rapidi ad ammonire gli altri. Spesso vedono un fuscello negli occhi del loro fratello e non vedono una trave nel proprio. Spesso ammoniscono in modo sconveniente, incompetente, senza amore e senza l’ordine che ha stabilito Cristo Gesù. L’ammonizione fatta in questo modo, spesso è causa di un altro male e non di miglioramento.

Esiste l’ordine stabilito dall’amore e da Cristo stesso, e quando vuoi approfittare del diritto di ammonire il tuo fratello, prima rifletti e poi “va e ammoniscilo fra te e lui solo!”.

 

XXIV Domenica Ordinaria
Anno A

(Mt 18,21-35)

«Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette»

Tutti siamo “condannati” per la vita alla coesistenza con gli altri. Vogliamo o no, pensiamo questo o no, sempre siamo reciprocamente dipendenti. Eppure ogni fetta di pane che mangiamo ci ricorda questo. Questo ci lo dice anche il vestito, l’auto, il negozio o la scuola. Abbiamo bisogno di noi stessi scambievolmente in ogni momento.
Queste due cose: la vita e la coesistenza con gli altri sono un bisogno e una necessità, ma spesso sono anche la causa di tanti croci. Perché la maggior parte dei fastidi che riceviamo ci viene dagli uomini.

Pietro sapeva questo e per questo ha domandato a Gesù: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli?». Ma meglio conosceva questa cosa il Maestro perché ha risposto: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette». Allora questo significa che la vita e la coesistenza devono essere composte da perdoni infiniti. Dobbiamo perdonarci perché la nostra vita sarà più gioiosa e più felice, perché anche a noi sarà perdonato!

 

XXV Domenica Ordinaria
Anno A

(Mt 20,1-16)

«io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te»

Non a tutti piace la parabola degli operai nella vigna. Diversi sono stati chiamati al lavoro nelle diverse ore e tutti hanno preso la stessa paga. È difficile mettere d’accordo questo con la giustizia e l’amore di Dio. Però dimentichiamo la Sua generosità e benignità. Pensando la quantità dimentichiamo la qualità. Pensiamo troppo materialisticamente.
Dio alla fine dei tempi non ci premierà perché appartenevamo alla Chiesa cristiana, perché avevamo il certificato del Battesimo o del matrimonio. Ci premierà per la qualità ed il modo di appartenenza alla Sua vigna. Possiamo dimostrare le statistiche soltanto davanti agli uomini. «Amico, io non ti faccio torto. Prendi il tuo e vattene».
L’appartenenza a Cristo e alla Sua Chiesa è una grazia e non nostro merito. La vocazione al Regno di Cristo nei diversi tempi anche è una grazia e non dipende da noi. Da noi dipende soltanto la risposta a questa chiamata, il modo di appartenenza ed il contributo proprio nell’opera alla quale siamo stati chiamati.
E oggi devo rispondere ad una domanda: La mia appartenenza alla Chiesa, il modo della mia partecipazione alla Sua vita è vero o no?, o forse devo cambiare il mio comportamento per essere degno del Regno di Cristo?

XXVI Domenica Ordinaria
Anno A

(Mt 21,28-32)

«Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?»

Non è difficile indovinare e capire il senso del paragone del Vangelo di oggi. Questo è una immagine dei due generi di uomini del popolo eletto ai quali è venuto Cristo Gesù. I suoi capi spirituali si consideravano i più obbedienti a Dio, i veri figli d’Israele, quelli che rispettavano la legge di Dio. E sembrerebbe che loro seguano Cristo come primi e approfittino del Suo invito alla vigna. Purtroppo si sono dimostrati pigri e perversi.
Invece i peccatori, i pubblicani, i “rifiuti della società” – considerati i peggiori, sono andati dietro la voce della chiamata. Hanno ascoltato Giovanni e hanno seguito Gesù. Anche loro “vi passano avanti nel regno di Dio”. Non perché sono i peccatori, ma perché considerano se stessi peccatori e si convertono volentieri.
E adesso guardiamo e riflettiamo. Oggi non sono più vicini a Dio ed a Cristo i pagani, gli uomini delle altre religioni ed anche gli atei che non i cristiani? I principi ed i comportamenti di quelli altri spesso non sono più vicini al Vangelo che quelli delle società cristiane? Lasciamo da parte la politica, i pregiudizi, gli antagonismi, - giudichiamo obiettivamente.
Loro non conoscono e non si servono del Vangelo ma spesso lo vivono. Sono capaci di decidersi ad avere l’atteggiamento di fede e di umiltà, sono capaci di riflettere e convertirsi. Più di una volta sono meno rovinati nello spirito e meno demoralizzati di questi “giusti”!
Il profeta Ezechiele ha detto: “Se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male e a causa di questo muore, egli muore appunto per il male che ha commesso. E se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso.”

Ed alla fine ricordiamo un appello di San Francesco: “Tanti sono chiamati ma pochi gli eletti. Fratelli facciamo il bene fino a quando abbiamo tempo”.

XXVII Domenica Ordinaria
Anno A

(Mt 21,33-43)

«Darà in affitto la vigna ad altri contadini»

Due immagini delle due vigne la Chiesa ci mette oggi davanti agli occhi. L’autore della prima visione è il profeta Isaia. L’autore della seconda – Cristo Signore.
Forse non è difficile intravedere la somiglianza tra la vigna eletta e noi, tra Gesù e i suoi seguaci. La vigna eletta è anche ogni anima cristiana. Quante grazie, bontà riceviamo da Dio. Eppure tutto è una grazia: ogni pensiero buono e l’ispirazione, una fetta di pane ed un attimo, un raggio di sole e un respiro, il rimorso e la sofferenza, la confessione e la Santa Comunione. Non è possibile definire e nominare tutti i doni e tutte le grazie che riceviamo da Dio.
Dio è irraggiungibile nella Sua benignità e la Sua pazienza di fronte agli uomini. Decide di fare in tutti i modi per attirare a Sé l’anima umana, trattenerla e renderla felice. È instancabile “cercatore” delle anime umane. E l’uomo è un instancabile fuggiasco da Dio. L’uomo fa tutto per non sottometterci a Lui. Resiste a Dio e c’è di peggio, si ribella al Creatore. Cammina nei peccati giorno per giorno, anno per anno. Sembra esser sordo alla voce del Signore. Però quando si esauriscono tutti i modi della pietà e della pazienza di Dio allora la fine dell’uomo può risultare tragica. Allora rimarrà solamente la giustizia di Dio.
Allora, che cosa fare perché l’epilogo non sia una tragedia?
Di questo dice oggi San Paolo: “non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti”. La fede e la fiducia rispetto a Dio, compiere la Sua volontà ogni giorno – questo è il nostro compito.
E il risultato di questo – “la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù”.
La pace interiore, che oggi ci manca, sarà il premio già in questa vita.

XXVIII Domenica Ordinaria
Anno A

(Mt 22,1-14)

«molti sono chiamati, ma pochi eletti»

Nelle ultime tre domeniche abbiamo ascoltato le parabole di Gesù sul regno dei cieli. La parabola di oggi è l’incoronazione delle precedenti.
Il banchetto di nozze è un’immagine della salvezza, ma possiamo capirlo in tre modi.
Primo – questo è una visione del Regno di Cristo sulla terra – della Chiesa. Ad essa erano invitati e chiamati soprattutto i figli d’Israele. Loro sono stati chiamati già nella persona di Abramo. Loro hanno preparato la genealogia umana al Figlio del Re – a Gesù. Però non hanno accettato questo invito. Allora per loro la fine è stata tragica. I loro posti sono stati occupati dalle nazioni pagane. Tra loro ci siamo trovati anche noi.
Il banchetto del re è anche un annuncio e un simbolo del banchetto, che il Padre preparerà in cielo a tutti gli invitati.
L’introduzione a questo banchetto eterno nei cieli è il Banchetto Eucaristico sulla terra – il sacrificio della Santa Messa che si compie su ogni altare. Qui si effettua l’opera permanente della nostra salvezza. Ed incoronamento di questo sacrificio è la Santa Comunione – anticipo della futura unione con Dio e della vita in cielo. Questo ci ricorda la Chiesa con le parole: “Beati gli invitati alla mensa del Signore”.
Però è necessario l’abito nuziale. Perché il Re domanderà: “Amico, come hai potuto entrare qui senz’abito nuziale?” Questo abito è indispensabile ed obbligatorio con la sanzione di essere cacciato fuori nelle tenebre, dove “sarà pianto e stridore di dento”.
Quest’abito è il Sacramento del Battesimo, l’appartenenza alla Chiesa. Questo è la grazia santificante realizzata nell’Eucaristia. Questo è la nuova giustizia basata sull’amore di Cristo.
Ed ancora riflettiamo su una frase che per noi non è molto chiara: “Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti”. Ciò significa che non tutti sono chiamati e solo un pugno di questi sono eletti e salvati? Se fosse così, allora come ci si potrebbe salvare? Ma questo non è vero. Tutti siamo chiamati e “l’elezione” e la salvezza dipendono soprattutto da noi. Dio desidera salvare tutta l’umanità. Il risultato dipende dalla nostra risposta e dal compimento delle condizioni.

XXIX Domenica Ordinaria
Anno A

(Mt 22,15-21)

«Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare
e a Dio quello che è di Dio»

«Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». Le parole di Gesù sono la risposta per tutti. Esse decidono sulla conveniente sistemazione delle cose temporanee e di quelle spirituali, il potere terreno e la più grande autorità – Dio.
“A Cesare quello che è di Cesare”.
Cristo Gesù non entra nel problema del sistema dei governi, non considera neanche la schiavitù come il male peggiore. Vuole solo sottolineare, che ogni potere come tale viene da Dio e bisogna ascoltarlo. Bisogna anche compiere i doveri di fronte al potere. In modo più ampio, San Paolo ripete ciò nella Lettera ai Romani: “Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c’è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio”.
Ma anche lo stato ha dei doveri verso i cittadini. Tutti i diritti ed i doveri devono essere basati sui diritti naturali e sulla legge di Dio. Perciò lo stato non può essere mai il più grande bene e l’unica autorità in tutte le cose ed in particolare in quelle che riguardano l’anima e Dio. Anche l’amore della patria non può mai superare l’amore di Dio. Non possiamo non protestare quando le autorità promulgano le leggi contro la legge di Dio.

Oggi dobbiamo verificare il nostro modo di pensare ed il modo di prendere una posizione di fronte a due autorità: a Dio e al potere terreno.

XXX Domenica Ordinaria
Anno A

(Mt 22,34-40)

«Amerai il Signore tuo Dio, e il tuo prossimo come te stesso»

I due comandamenti d'amore e le parole di Gesù nel del Vangelo di oggi possiamo riassumere semplicemente: il più importante è l'amore. Ciò che l'ha ripetuto anche San Paolo nella lettera ai Corinzi: “Se anche parlassi la lingua degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona ho un cembalo che tintinna”.
Se è difficile capire perché l'amore è il più importante e perché Dio tiene al nostro amore, allora la risposta è semplice. Siamo i figli dell'Amore. Siamo i figli di Dio, e “Dio è Amore”. Siamo stati creati a somiglianza di Dio, dall’amore e per l’amore. L’amore è la base della nostra esistenza, e l’amore è lo scopo della nostra vita sulla terra. Lo scopo non è l’amore come tale, ma quello più grande – Dio solamente. Lui è l’unico Bene che corrisponde alle nostre aspirazioni spirituali.
Ed oltre Dio? Più importante è la Sua immagine – l’uomo. Nell’uomo ci sono valori più grandi e quelli inferiori, durevoli e temporanei, corporali e quelli spirituali, valori simili a questi divini e quelli diversi. Oltre al corpo l’uomo possiede anche l’anima. Oltre al bel viso ha anche le qualità dello spirito e del cuore, dell’intelletto e della volontà – che sono più preziosi degli altri.
L’amore è anche un nodo invisibile, ma essenziale tra gli uomini e Dio, e deve essere un regolatore dei rapporti reciproci. Questo è un indice della nostra cristianità. Su ciò dovremo anche essere esaminati in futuro, nel giudizio universale. Esso è ed rimane l’unica certezza nel risolvere i problemi religiosi e sociali, personali e comuni. L’amore – questo è la colonna più importante ed essenziale, sulla quale si basa tutto, e dalla quale tutto dipende: la felicità eterna e quella temporanea. Dico “la colonna”, perché l’amore è l’unico, benché teoreticamente distinguiamo l’amore di Dio e del prossimo.
Oggi queste due colonne si sono screpolate sia nella vita personale che in quella sociale. Su queste colonne si vedono tante fessure e graffiature.
E noi dobbiamo riflettere per sapere come è il nostro amore di fronte a Dio e al prossimo. Salviamo le colonne dell’am
ore che vacillano.

XXXII Domenica Ordinaria
Anno A

(Mt 25,1-13)


«Ecco lo sposo! Andategli incontro! »

Nei paragoni di Gesù il Regno dei Cieli assumeva forme diverse. Una volta appariva come un tesoro senza prezzo, un'altra volta come la terra preparata per la semina; una volta come una rete gettata nel mare e un'altra come il seme della senape, come un banchetto nuziale o come la vigna. Una volta questi paragoni destano ammirazione e un'altra incutono timore.
La parabola di oggi, questa ci fa paura.
La sostanza della parabola è abbastanza chiara e comprensibile. Il paragone è preso dalla vita di allora.
Troppo tardi! Così si potrebbe esprimere la risposta dello Sposo. Gli ascoltatori hanno capito bene il senso della parabola. Capiamolo anche noi. Le nozze sono un'immagine della vita futura nel cielo. Per entrare là, bisogna essere pronti all'incontro con lo Sposo - con Cristo Gesù. Bisogna avere non solo la fiamma della fede, ma anche portare con sé una riserva di buone opere. E soprattutto bisogna essere pronti "perché non sapete né il giorno né l'ora", quando questo succederà. La mancanza di questa saggezza potrà costarci troppo.
Perciò oggi preghiamo Gesù, perché ci dia la grazia della saggezza della vita, così potremo entrare con gioia alle nozze del cielo.

XXXIII Domenica Ordinaria
Anno A

(Mt 25,14-30)


«Sei stato fedele nel poco, prendi parte alla gioia del tuo padrone»

La morale della parabola del Vangelo di oggi può così riassumersi: bisogna saper sfruttare i doni ricevuti, altrimenti perderemo anche quel poco che abbiamo.
Tutti noi siamo i servi elargiti dal Signore. Abbiamo ricevuto tanti doni naturali e soprannaturali, per i quali siamo responsabili.
Siamo responsabili dello sfruttamento dei doni di Dio: della vita e della salute, dell’intelletto e della volontà, della grazia della fede e dell’amore, delle ispirazioni e dei pensieri buoni, del sacramento del Battesimo e della Santa Comunione. Siamo responsabili della Chiesa alla quale apparteniamo e del Vangelo che leggiamo. Siamo responsabili di fronte a Dio e agli uomini, di fronte a noi stessi e agli altri, degli amici e dei nemici. Perché ognuno di noi è necessario a qualcuno. Qualcuno fa sempre conto su di noi, spera qualcosa. Ognuno di noi può aiutare qualcuno, benché non pensa questo.
Ognuno di noi è responsabile davanti a Dio dei doni e delle grazie, del tempo e della vita, del corpo e dell’anima.
Allora, che cosa possiamo fare?
Le possibilità sono illimitate e inesauribili. Nonostante tante difficoltà, ogni uomo, e soprattutto ogni cristiano può essere: gentile in casa, onesto negli affari, essere di aiuto ai deboli, aver perdono per gli altri e amare tutti!
Possiamo dire la verità quando gli altri tacciono.
Possiamo esprimere il nostro amore e rispetto, quando gli altri hanno solo parole di odio.
Possiamo stare zitti quando gli altri parlano.
Possiamo aiutare quando gli altri non vogliono.
Possiamo perdonare quando gli altri non sono capaci.
Possiamo rallegrarci della vita quando gli altri la disprezzano.

XXXIV Domenica Ordinaria
Domenica di Cristo Re dell'Universo
Anno A

(Mt 25,31-46)


«Siederà sul trono della sua gloria e separerà gli uni dagli altri.»

Cristo Gesù spesso raccontando del Regno dei Cieli, lo paragonava all’ovile e se  stesso al Buon Pastore. Anche oggi si presenta come un Pastore ma contemporaneamente come un Giudice. Non come un pastore che cerca la pecorella smarrita, ma come Pastore – Giudice, che “separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra”. Il gregge riceverà il premio o la punizione adeguati, secondo la vita e il comportamento. La verifica ed il criterio sarà l’amore. L’amore è il fondamento del Suo Regno.
Intanto siamo sulla strada che conduce al Re e Giudice, a Cristo Signore. Apparteniamo al Suo ovile. Frattanto Lui è ancora il Pastore che cerca le pecore smarrite su questa terra. Cerca e bussa continuamente ai cuori delle persone e delle nazioni.
Il pittore americano Harry Anderson ha rappresentato la figura di Gesù che bussa al palazzo dell’ONU. La figura di Cristo si fa vedere sullo sfondo del grande palazzo di vetro. Di sotto il traffico delle strade con tantissime macchine. Sventolano centinaia di bandiere, ma nessuno sente il bussare di Gesù, nessuno Lo vede e nessuno apre la porta.
Forse abbiamo visto un altro quadro: Gesù bussa alla posrta di casa. Anche qui nessuno Gli apre, da solo non può entrare, perché la maniglia è dalla parte interna. Aspetta invano??? Forse è qualcuno che Gli aprirà!!!???
Intanto abbiamo la possibilità di riuscire. Scriviamo l’opera della nostra vita. Ci ha dato il titolo Lui stesso che anche farà la recensione. La sostanza per scrivere è lasciata a noi. E la scriviamo giorno dopo giorno, anno dopo anno. La scriviamo non con la penna ma con le opere, non solo con i desideri buoni ma con il sacrificio. L’opera della vita la scriviamo soprattutto con l’amore. Secondo quest’amore ci giudicherà Colui, che è “l’Alfa e l’Omega”, il Principio e la Fine di tutto – Cristo Gesù – Re dell’Universo!

 

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